L’ARTE DI ALLENARE.  

UN RINASCIMENTO NEL METODO  

Ciò che dovrebbe essere chiaro è che uno gioca senza una ragione e che non deve avere nessuna ragione per giocare; giocare è già una ragione sufficiente, in questo sta il piacere dell’azione libera, senza ostacoli, con l’orientamento che il giocatore vuole dargli, che tanto sembra somigliare all’arte, a quell’impulso creativo” (L.Yutang).

L’informazione è sicuramente il mezzo sociocognitivo più efficace che abbiamo per condividere la conoscenza, però a sua volta è anche un potente generatore di confusione se questa non è compresa da chi ne fa uso. 

Di fatto, non è chi ha molta informazione che ha conoscenza ma chi ha la capacità di computarla e come ci ricorda Heisenberg, padre della fisica moderna: “Ogni qualvolta che procediamo dal noto all’ignoto noi possiamo sperare di accrescere la nostra comprensione della realtà, ma siamo obbligati forse ad apprendere un significato nuovo della parola comprendere. Noi sappiamo che qualsiasi comprensione deve essere fondata in definitiva sul linguaggio naturale giacché è soltanto con quello che possiamo sperare di raggiungere la realtà.”

La flagellazione di Cristo – Piero Della Francesca

Negli ultimi anni siamo passati da avere poche informazioni (libri, internet, blogs) ad averne molte, e questo ha fatto sì che si diramasse anche una conoscenza ingannevole o parziale in chi ne fa uso, perché alcune più che essere informazioni sono parainformazioni.

“Non ci sono verità assolute, come ci sono bugie evidenti” (M.V. Montalbàn).

La formazione nel calcio ha a che fare prima di tutto con la conoscenza del gioco, con la sua dinamica, ma deve andare di pari passo con le conoscenze che si hanno oggi sull’essere umano. C’è bisogno di una cultura multidisciplinare che non trascuri le discipline scientifiche nate negli ultimi periodi, ma è ancora più necessario saperle connettere tra di loro, senza perdersi dietro una parcellizzazione o all’astrazione del sapere. Questa deve essere la nostra evoluzione: da Homo Habilis a Homo Hubilis (Hub: superconnettore).

Come scriveva Dante Panzeri: “i libri, da cui ho appreso di calcio, sono quelli che non parlano di calcio”, ma, come diceva Don Carlos Peucelle: “la miglior tattica degli europei è venderci libri, programmi didattici e progetti metodologici, ma è da qui, dal Sudamerica, che hanno preso i migliori giocatori”.

Quindi il gran libro per un allenatore (e non solo per lui) deve rimanere il gioco e i giocatori. Questo non contrasta con la curiosità per la conoscenza, tutt’altro, è l’amplificatore dei suoi processi di arricchimento. Il conoscere rimane la prerogativa, ma comprendere non è semplicemente prendere, serve un’ importante quota di sensibilità e di osservazione intelligente. 

È qui che nasce l’ equivocosul gioco. Un concetto di gioco è vano e privo di significato se non si comprende chi è che gioca, chi prende decisioni, le emozioni che lo spingono a tali decisioni, le potenzialità tecniche, tattiche e fisiche, in definitiva, se non si comprende l’essere umano con il quale interagiamo: il giocatore

Non parlerei di metodologia bensì di Giocatore-logia” (O. Cano). 

“Il nuovo paradigma non è conoscere il gioco ma comprendere i tuoi giocatori che sono quelli che gli danno forma tendendo sempre ben presente la sua logica interna” (F. Seirul-lo).  

Questa rottura di paradigma, questa nuova forma di pensare (pensare non è ricordarsi le informazioni) ha davvero senso quando lasciamo che la naturalezza si esprima liberamente; gioco e giocatori, corpo e mente diventano un tutt’uno, promuovendo così la rete, la relazione, le connessioni, l’interdipendenza, abbandonando la rassicurante organizzazione sociale costruita attraverso la gerarchizzazione, che ostacola l’organizzazione spontanea dei giocatori (auto – organizzazione).

La Primavera – Botticelli

                                                                                                                                            

“Tom scoprì il segreto dell’attività umana; se mi obbligano a pitturare una staccionata, allora è lavoro, ma se la pitturo per piacere allora è gioco” (M.Twain).

 Il gioco è un’ intenzione, un’ iniziativa, non è un concetto. La sua forma prende vita nel grande circuito cerebrale del giocatore e finisce in ciò che vediamo, ma è mutevole, multiforme e individuale allo stesso tempo, e non emerge dalle capacità di chi allena ma dalle capacità di chi gioca. 

Il gioco non sarà mai compreso del tutto se lo intendiamo solo attraverso i principi invece che dalla prospettiva potenziale dei suoi giocatori. Abbiamo bisogno di nuovi valori dove il giocatore non sia trattato come un mero esecutore, valori dove la relazione sociale non sia considerata competitiva ma cooperativa.

Allenare non è giocare come giocare non è un concetto. 

Ore e ore studiando il gioco per estrarre il concetto, e ore e ore sul campo per allenarlo. Il gioco non emerge così. Non è questo, ma c’è anche questo. Per tanto, non esiste un modello di gioco in quanto tale, separato dalla realtà , inteso come un monolito immutabile. Non si tratta di imitare e ripetere archetipi o rispettare dogmi ma di far emergere i concetti in ogni momento, con un’osservazione pertinente in grado di comprendere le dinamiche e le potenzialità evolutive del gioco, attraverso l’interazione dei giocatori senza allontanarli dal loro contesto naturale.

Per far ciò, è necessario un atto di coraggio di noi allenatori, lasciamo che l’insieme di eventi (giocatori immersi nel gioco) col passare del tempo prenda forma, per poi comprenderne il senso all’interno del contesto in cui si sta sviluppando. Questo è il gioco: è semplicemente non forzare un processo che deve essere naturale.

La natura non forza nessun processo eppure tutto avviene.

Creiamo centinaia di esercizi per allenare. Ci sforziamo a organizzarli e ordinarli, ma tendenzialmente il gioco non ne ha bisogno, perché, in realtà è una riorganizzazione costante. L’ idea di individualizzare il giocatore, dividere ciò che è indivisibile, porta solo al cortocircuito dell’ interazione, e ostacola la capacità creativa e cooperativa, invece dovremmo favorire un processo dove le funzioni adattative del giocatore diventino funzioni trasformative, generative.

Il nostro compito come allenatori non è perturbare il gioco con regole di provocazione perverse, ma assecondare le esigenze e “favorire la complementarietà” (Oscar Cano).

In allenamento, la sola scelta di determinati giocatori nello schieramento delle squadre incide su quello che potrebbe succedere molto più di qualsiasi regola di provocazione.

Consegna delle chiavi a San Pietro – Perugino

Meno interveniamo con il nostro ordine inventato più faciliteremo quella naturale organizzazione che nasce tra i giocatori. Il giocatore deve apprendere ad apprendere (metacognizione) dalle circostanze, riconoscere e riconoscersi dentro il gioco in relazione ai suoi compagni di squadra e in opposizione agli avversari di turno perché “solo a contatto con loro può esprimere le sue migliori qualità” (Oscar Cano), divenendo così il vero promotore del gioco: questo è giocare. 

“Chi non impara il gioco giocando non lo farà in nessuna forma allenando” (Ruben Rossi).

 Francesco Quaranta & Marco Monteleone 

BIO FRANCESCO QUARANTA: classe 1980 laureato in Scienze Motorie presso Università di Torvergata,  licenza Uefa C, attualmente è allenatore in un settore giovanile professionistico. Appassionato di metodologia e attento osservatore dell’evoluzione del gioco del calcio e dei giocatori. La sua visione umanista del mondo lo rendono un libero pensatore.

BIO MARCO MONTELEONE: laureato presso la facoltà di Scienze motorie di Roma. Qualifiche di allenatore professionista Uefa A e di Tecnico Deportivo Superior conseguiti in Spagna dove ha vissuto per sette anni allenando nel Fc Granada. Coautore del libro: La costruzione di un modello di gioco e autore del libro: Il calcio è…tutto. Negli ultimi anni si è dedicato allo studio di metodi di allenamento contestualizzati al gioco del calcio.

2 Responses

  1. Mi piace che si scriva di “arte di allenare”. Credo che sia proprio questo ciò che contraddistingue le capacità dell’allenatore, e ciò che differenzia l’uno dall’altro.
    Condivido molte frasi scritte nell’articolo; credo che la sintesi di tutte, per comprendere meglio la differenza tra metodologia e gioco sul campo, sia la seguente:
    *In allenamento, la sola scelta di determinati giocatori nello schieramento delle squadre incide su quello che potrebbe succedere molto più di qualsiasi regola di provocazione.*
    Questa è una verità! …ed è pur vero che ci si avvale sempre di una metodologia di allenamento, e all’interno di questa, come scrive Oscar Cano è necessario “favorire la complementarietà” stimolo per i giocatori e sicuramente a favore del gioco.

  2. Grazie! Una visione alta e innovativa, che merita di essere approfondita e di trovar strada nel concreto, nonostante gli ostacoli rappresentati dalle abitudini, dalle credenze e dai falsi miti dell’ambiente calcistico.
    Non è facile, ma mi fa molto piacere sentire voci autorevoli portare avanti questi concetti, che a mio parere nobilitano il calcio e lo rendono più bello.

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