CALCIO ITALIANO: LA GESTIONE DEI CLUB. RISULTATI COSTANTEMENTE IN PERDITA. DIFFICOLTÀ INSORMONTABILI O INCAPACITÀ DI ADATTAMENTO ALLE NORMALI REGOLE DI GESTIONE AZIENDALE? 1^ PARTE.

In passato gli argomenti di economia e finanza, interessanti per un tifoso di calcio, erano i miliardi pagati per Maradona dal Napoli o dal Milan per Gullit. Oggi, invece, con la trasformazione del calcio in business economy, al bar si sente parlare  più di plusvalenze che di dribbling.

Giornali e  televisioni si esprimono su valutazioni e opinioni sui numeri che caratterizzano  bilanci e i risultati economici delle società di calcio, rovinando l’umore del tifoso, anche difronte al risultato sportivo più importante, vedi il caso dell’Inter ‘’Cinese’’, con lo scudetto di Conte del 2021.

Purtroppo Il mondo del calcio è cambiato ed il tifoso ha sempre più dovuto essere coinvolto dell’andamento finanziario della sua squadra del cuore, perchè da questo dipende, oggi, se arriverà il campione dei suoi sogni o se  potrà ancora vedere i suoi colori giocare nel calcio professionistico la stagione seguente, come ammoniscono i numerosi fallimenti di club grandi e piccoli, costretti a ripartire dalle serie minori.

Dobbiamo prenderne atto, dunque, plusvalenze, contratti, sponsorizzazioni, stadi di proprietà, diritti d’immagine, marketing, fair-play finanziario sono termini economici   entrati a far parte del vocabolario degli addetti ai lavori e dei tifosi, anche se qualche volta, un po’ a sproposito.

Da Manager aziendale, con una trentennale esperienza, mi permetto di dire, che nessuno ha mai approfondito l’argomento fino in fondo, per capire per quali ragioni la gestione di una società calcistica è diventata una continua rincorsa alla copertura dei costi sempre più ingenti. Nessuno ha mai identificato perchè, nella maggior parte dei casi, la non copertura dei costi apre le porte ad investitori esteri di varia natura, dai fondi, soprattutto statunitensi, a personaggi che dire discutibili è poco.

Proviamo a fare un po’ di chiarezza partendo da alcune considerazioni storiche perché la natura della disattenzione ai costi, non si può negare che abbia la sua origine nella storia delle società calcistiche italiane.

Le società calcistiche, anche quelle straniere, ebbero origine quale semplice fenomeno aggregativo di soggetti impegnati nella pratica sportiva, per cui in forma sostanzialmente associazionistico-ricreativa che operavano senza il perseguimento di finalità lucrative.

A partire dagli anni ’60, la progressiva diffusione del calcio e l’aumento di interesse intorno al fenomeno, resero le associazioni sportive consapevoli del fatto che il semplice ed esclusivo contributo finanziario degli associati non sarebbe stato più sufficiente a sostenere le spese, sempre crescenti, in quanto il numero dei partecipanti aumentava in rapida progressione e anche il tasso tecnico delle competizioni si era vertiginosamente elevato.

Analizzata l’origine storica, dunque, se esiste una filosofia di non attenzione ai costi nelle società di calcio, pur non giustificata ad oggi, non si può negare che questa abbia un retaggio storico concreto.

Pian piano, alla figura dell’atleta praticante-associato cominciò a sostituirsi quella di sportivo professionista, che rendeva la propria prestazione dietro il pagamento di un compenso, grazie anche all’introduzione della legge n.91 del 1981 che affermava: ’’sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi e i preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica’’.

Il peso crescente della gestione sempre più onerosa e l’avvento del professionismo indussero le associazioni calcistiche a rivolgersi al mercato nel tentativo di intercettare l’interesse degli imprenditori e avvicinarli al progetto sportivo: stava così nascendo la figura del c.d. ‘’ mecenate sportivo’’ che, investendo risorse nel settore, si aspettava vantaggi di immagine o a diretto beneficio della propria impresa.

Questo modello, oramai non più esistente in Italia, escludendo il caso Juventus con Agnelli-Exor, dopo gli ultimi sviluppi arrivato al capolinea, ha costituito una sorta di ‘’droga’’ per il calcio italiano, permettendo il perdurare della mentalità di disattenzione ai costi, anche in tempi di professionismo, perché le logiche economiche dello spreco calcistico, avevano ragioni politiche, di immagine o economiche ma comunque al di fuori delle società calcistiche stesse.

In Italia solo nel 1966 la F.I.G.C decise l’adozione di una struttura giuridica, adatta al mutato contesto socio-economico in cui le società operavano, deliberando che, per l’iscrizione al campionato successivo, fosse necessario adottare la forma giuridica della società per azioni.

La delibera del 16 Settembre 1966 della Federazione Italiana Gioco Calcio stabilisce lo scioglimento delle vecchie associazioni militanti nei campionati professionistici e la loro contestuale nuova costituzione, in veste di società commerciale, munita di personalità  giuridica, individuando ciò come condizione imprescindibile per l’iscrizione al campionato di calcio relativo alla stagione sportiva 1966/1967

Per altri 30 anni però si è approfittato del modello ‘’Mecenate sportivo’’, giustificando ed autorizzando una gestione delle società di calcio italiane non attenzionata alla gestione e alla copertura dei costi.

Solo con la legge n.586 del 18/11/1996 infatti si introdusse lo scopo di lucro per le società sportive, sancendo definitivamente il passaggio del mondo del calcio professionistico ad un sistema ‘’business oriented’’, quindi orientato alla generazione dei ricavi oltre che al mero risultato sportivo.

Con la legge n°586 del 1996, le modifiche introdotte in Italia eliminarono anche la preclusione, per le società sportive professionistiche, della distribuzione ai soci dell’utile di esercizio realizzato, nel ‘’perseguimento esclusivo dell’attività sportiva’’, rendendole così società a scopo di lucro, a tutti gli effetti, e permettendo, indirettamente, lo sviluppo di attività commerciali consentite, seppur limitate ad attività strumentali all’attività sportiva.

In questo modo il legislatore consentiva alle società sportive di operare anche in aree diverse ed ulteriori rispetto a quelle strettamente sportive ed agonistiche, così da estendere l’attività di impresa verso segmenti contigui come le sponsorizzazioni, vendita di diritti televisivi, di spazi pubblicitari e il merchandising: si favoriva, dunque, la raccolta di capitale di rischio tra il pubblico dei risparmiatori.

E’ evidente che per quanto riguarda lo sport professionistico, fino alla metà del ventesimo secolo,

le società si finanziavano essenzialmente attraverso il prezzo del biglietto pagato per assistere allo spettacolo, con l’ausilio dei sussidi offerti da enti governativi nazionali e locali.

Nel corso degli anni Sessanta e Settanta, le entrate pubblicitarie e le sponsorizzazioni subirono un incremento notevole, determinando una identificazione diretta tra finanziatore e società sportiva.

La trasformazione del calcio da evento sportivo a business commerciale e l’ingresso dei diritti televisivi hanno portato questo sport a diventare sempre più un’impresa e quindi a dover affrontare i problemi relativi al finanziamento, all’acquisizione dei fattori produttivi, alla loro trasformazione nonchè disinvestimento, tipico del circuito di gestione ordinaria di un azienda.

L’evoluzione del fenomeno del calcio, la sua attitudine ad essere sempre meno uno sport e sempre più un business, ha evidenziato un sorprendente incremento dei costi per la gestione di una squadra calcistica, ma questo, purtroppo, non corrisponde ad un cambiamento nella filosofia di gestione.

Nel nostro Paese le società calcistiche, fino ad una quindicina di anni fa,  erano affidate, nella gran parte dei casi, ad un azionista di maggioranza, ‘’il mecenate’’, costretto a continui aumenti di capitale, a titolo di capitale di rischio, per coprire l’ingente passivo che la gestione di una squadra di calcio comporta.

L’acquisto del Milan da parte di Silvio Berlusconi nel 1986, sicuramente ha dato un impulso competitivo all’innalzamento dei costi nel calcio italiano, da imprenditore mecenate infatti cominciò ad acquistare tutti i giocatori migliori, al prezzo che gli veniva richiesto, superando i limiti ‘’morali’’ dei prezzi di allora, il tutto quando ancora le società calcistiche non potevano ancora avere scopi di lucro e con finalità di immagine che sicuramente non avevano logiche economiche, di breve e medio periodo.

I finanziamenti della strategia Berlusconiana arrivavano dalle sponsorizzazioni delle sue aziende, Fininvest, Mediolanum etc… non molto diverso da quello che accade oggi in società come il PSG, come vedremo in seguito nell’analisi dei bilanci.

Oltre alla crescita dei costi di acquisizione e di gestione dei calciatori ci fu un altro evento che minò in maniera tragica l’economia delle società calcistiche: la celeberrima sentenza Bosman del 1995.

Questa sentenza sportiva modificò tutto il mondo calcistico. Infatti con la decisione presa dalla Corte di Giustizia Europea, tutti i calciatori professionisti, aventi cittadinanza dell’Unione Europea, alla scadenza del contratto, potevano trasferirsi ad un altro club, autonomamente, senza che la società di appartenenza potesse pretendere alcuna indennità o opporre alcun ostacolo.

Contabilmente questo ha un significato stravolgente perché tutti gli investimenti fatti in acquisto di giocatori potevano essere vanificati nell’ipotesi di non rinnovo dei contratti e quindi, da quel momento, tutti i soldi spesi per il cartellino di un giocatore si dovevano ammortizzare, ovvero spesare, negli anni di contratto sottoscritto con lo stesso giocatore.

Il patrimonio di tutte le società calcistiche dal 1996 viene messo in discussione e da quel momento, ancora di più, la gestione dell’economia delle società diventa strategica, come i risultati sportivi.

Una società di calcio deve seguire delle regole che richiedono che essa si occupi di gestire il club, di selezionare i giocatori, di vendere i biglietti e remunerare economicamente coloro i quali fanno parte del club. Come abbiamo visto, che tutto questo venga fatto per ottenere un profitto non è un fatto che rientrava nelle peculiarità classiche delle società calcistiche. Le finalità, al contrario, fino a che il calcio è stato per lo più un ‘’Gioco’’ sono state tutt’altre mentre le modifiche avvenute, a partire dalla seconda metà degli anni ’90, hanno spostato in primo piano il ruolo economico delle società, accrescendo l’importanza della capacità di ottenere ricavi.

Come un’impresa deve trovare un equilibrio economico tra successo competitivo e successo reddituale, così la questione più importante per una società di calcio diventa creare un equilibrio tra ricerca del profitto e ricerca del successo sportivo.

Le nuove dinamiche economico finanziarie però non sono state assimilate istantaneamente dai manager sportivi italiani, sia per il retaggio storico della filosofia di gestione iniziale che per il tentativo dei ‘’mecenati sportivi’’ di continuare nella loro opera, il risultato fu il tracollo finanziario di alcune società e/o l’intervento di investitori esteri già orientati ad una strategia di gestione aziendale, in linea con la copertura dei costi.

L’accresciuto volume finanziario del settore calcistico ha destato infatti l’interesse di un sempre maggior numero di investitori che cominciarono a credere che le società calcistiche italiane potessero rappresentare degli investimenti redditizi, assumendo sempre maggior rilievo sia l’aspetto economico che il trade-off (linea diretta) tra successo sportivo e finanziario.

I risultati sportivi, però, qualora effettivamente raggiunti (vittorie), si trasformano in ricavi in più solo quando concorrono altre condizioni, cioè quando la società dispone di un vasto pubblico potenziale (il bacino di utenza) che è in grado di sfruttare tutte le opportunità commerciali che si creano.

Nel caso italiano i ricavi generati sono ancora inferiori a quelli potenzialmente generabili per effetto delle arretratezze nello sfruttamento dello stadio e, soprattutto, del proprio brand attraverso il merchandising o altre iniziative, questo rispetto ai competitors inglesi o spagnoli, i quali invece riescono a monetizzare pienamente i loro successi sportivi e la loro immagine

La peculiarità delle società di calcio sta nel fatto che i ricavi che esse realizzano sono strettamente dipendenti dalla competizione sportiva, nel senso che nell’ipotesi in cui questa sia più accesa i consumatori avranno maggiore interesse ad acquistare il bene, rappresentato dall’evento sportivo.

La vera rivoluzione, soprattutto in Italia, sarebbe che, in uno scenario competitivo mutato, le società con un bacino di utenza ricettivo e capiente, trovassero il modo di alimentare i loro ricavi interagendo con questo e sfruttandone le peculiarità, a prescindere dai risultati sportivi, dando così ai loro ricavi una maggiore costanza e programmabilità e prendendo le distanze dagli up and down dei risultati sportivi.

Riprenderemo questo argomento con approfondimenti più avanti.

I limiti nei mutamenti di strategia stanno nel fatto che gli obiettivi delle società professionistiche, storicamente, non sono la massimizzazione dei profitti ma altri elementi che ne indirizzano le scelte di investimento, come l’immagine, il prestigio, l’entusiasmo sportivo degli imprenditori.

Del tutto attuale è ancora oggi lo scontro tra la filosofia storica di gestione delle società di calcio, in beffa al fair play finanziario, esempio più lampante il PSG, e la filosofia della economia di gestione ordinaria, finalizzata come minimo al pareggio, che è quella a cui si ispirano i regolamenti UEFA che determinano la necessità di un equilibrio anche finanziario delle società calcistiche.

Analogamente a tutte le imprese che operano nei più disparati settori dell’economia, anche le società di calcio, per attuare la loro strategia e raggiungere gli obiettivi e i traguardi prefissati, devono tener conto delle proprie competenze nel complesso, identificando quelle che permettono il raggiungimento di un vantaggio competitivo rispetto ai competitors.

Soltanto una corretta identificazione dei propri punti di forza e debolezza, nonché dei vantaggi competitivi già acquisiti o acquisibili, permetterà ai club di definire il giusto percorso per raggiungere i successi sportivi e soddisfacenti risultati economico-finanziari

Il vantaggio competitivo è il risultato di una strategia che conduce l’impresa ad occupare e mantenere una posizione favorevole nel mercato in cui opera e che si traduce in una redditività stabilmente maggiore a quella media dei competitors.

Per conservare un vantaggio competitivo che sia duraturo nel tempo, quindi, bisognerebbe insistere sul posizionamento strategico, vale a dire l’utilizzo delle risorse distintive che creano valore per il cliente e che consentono di interpretare le condizioni ambientali in maniera originale.

Il tentativo più attuale, nonché maldestro, in questo senso, è stata l’ideazione della SUPERLEGA, fallito perché esplicitazione della filosofia storica di gestione delle società calcistiche, ovvero creare una continuità di ricavi, per un numero elitario di club che se lo erano guadagnati con il prestigio storico, nulla a che fare con la competitività sportiva che, per mantenere il suo fascino, deve rinnovarsi continuamente. Oggi, dunque, l’obiettivo delle società calcistiche non può più essere di sicuro solo l’ottenimento del miglior risultato sportivo possibile, ma il focus si sposta verso la gestione economica, in quanto ottenere risultati positivi in ambito finanziario diviene importante quasi quanto il successo sportivo…..CONTINUA (Grazie a Milan Night per l’immagine in prima pagina).

BIO: Paolo Giuseppe Cardillo, Manager, laureato in economia aziendale ed esperto in Marketing e Tecnica della pubblicità, nel mercato italiano ed internazionale ha operato nei più svariati settori, dalle materie prime, polvere di cacao e cioccolato, fino alla tecnologia ed elettronica estrema della videosorveglianza, passando dalla cantieristica ai metalli pregiati.
Oggi la sua passione è diventato il suo lavoro mettendo la sua esperienza a disposizione di calciatori ed addetti ai lavori

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