LA QUALITÀ NEL CALCIO: NON SOLO TECNICA – PARTE 2.

Non è scontato che una squadra con un numero elevato di giocatori “dai piedi buoni” risulti più qualitativa di una compagine che propone sul terreno di gioco un tasso tecnico inferiore. Vero è, per converso, che, a parità di conoscenze, di organizzazione, di capacità di leggere il gioco e di coralità della manovra, la tecnica può risultare risolutiva in positivo.

Come già anticipato, la formazione del calciatore e la ricerca di una proposta calcistica da squadra qualitativa non possono prescindere dall’attenzione al tempo e allo spazio. Demandando a successive analisi il tentativo di individuare quale dei suddetti elementi risulti dipendente dall’altro (sempre sia possibile prevedere una interdipendenza gerarchica), ci si limiterà in questa sede a rimarcare come il tempo della giocata rappresenti un aspetto primario nella ricerca della qualità.

Anche il gesto tecnico più pulito, più bello a vedersi, più pregevole nella connotazione estetica rischia di risultare inutile, se non dannoso, quando non viene posto in essere con il dovuto tempismo.

Il controllo a seguire (od orientato) è uno dei gesti tecnici che meglio si presta ad esser elevato a parametro dell’importanza del tempo di gioco.

Comprendere in anticipo, mentre si sta per ricevere palla, quale sia la giocata più indicata, e come porla in essere, può portare un vantaggio temporale incommensurabile. Un controllo che permetta, ad esempio, un tocco in meno o che, sempre esemplificando, consenta di prepararsi alla giocata successiva (tiro, traversone, passaggio, dribbling) con la postura già predisposta senza necessità di movimenti ulteriori, può valere tantissimo nell’economia di un’azione a prescindere che si inserisca nella fase di costruzione, di sviluppo, rifinitura o conclusione.

 Un dribbling in più o una finezza ricercata, viceversa, per quanto gradevoli dal punto di vista estetico, possono ritardare la giocata con l’effetto non solo di non prendere vantaggio ma anche di mandare fuori tempo i compagni di squadra.

Ragionamento analogo varrà per l’attitudine a muoversi nello spazio o, se si vuole, ad occuparlo quando, addirittura, non si intenda crearlo. Anche in questo caso entra in ballo la capacità di natura percettiva, da formarsi nel percorso di apprendimento, tale da risultare risolutiva a dispetto di una tecnica sopraffina o di un eccellente controllo di palla.

Vi sono poi una serie di ulteriori situazioni, con le quali i calciatori hanno l’onere di rapportarsi nell’intendimento di offrire un contributo qualitativo alla propria squadra, come il movimento senza palla , la capacità di vedere il gioco o quella di leggere le linee di passaggio. Anche l’esercizio di queste funzioni, talvolta non necessariamente legate all’abilità balistica, quando svolto in maniera consona, è portatore di “qualità” d’alto profilo.

Senza considerare altri elementi di utilità come l’aspetto comportamentale, il sapere discernere la fasi in cui deve prevalere il raziocinio da quelle in cui impera l’emotività, la conoscenza del gioco ed altre ancora maturate nel percorso di ogni calciatore.

Ovviamente, gli aspetti dianzi menzionati avranno maggior possibilità di risultare efficaci se associati ad un livello tecnico tale da porli in essere nel migliore dei modi; è fuori discussione, tuttavia, che quest’ultimo, per risultare qualitativo, debba risultare strumentale alle situazioni citate, non potendo da solo risolvere alcunché.

A  quanto testé citato, si deve poi aggiungere un altro aspetto, sempre più risolutivo nel football di oggi ed in quello del futuro.

Ci riferiamo alla capacità di leggere le singole situazioni e assumere la decisione corretta.

La formazione del giovane calciatore non deve avvenire secondo un binario predefinito, che ne imponga ogni movimento, ogni scelta, ogni comportamento sino a renderlo mero esecutore di una sequenza di automatismi, tutti preparati a tavolino. Per migliorare il livello qualitativo il calciatore dovrà essere posto nella condizione di saper riconoscere e, conseguentemente, decidere cosa fare in campo.

Allenare la tecnica di per sé non porta nulla di qualitativo. Risulta, viceversa, proficuo sviluppare le caratteristiche e le peculiarità del calciatore in rappresentazioni, per quanto possibile, simili a quelle che incontrerà sul terreno di gioco.

Non si è giocatori di qualità per effetto delle peculiarità ricevute in dono da madre natura, salvo, forse, qualche eccezione che tutti potremmo citare.

Si diventa calciatori di qualità in virtù del processo di formazione.

 E’ fondamentale che il calciatore, pur in aderenza ai principi sviluppati dallo staff tecnico, abbia contezza di ciò che accade in campo e sia posto nella condizione di assumere, di volta in volta, la decisione corretta.

Abbiamo avuto modo di vedere come, anche in occasione dell’ultima coppa del mondo, alcune partite siano state decise da situazioni non preventivabili a tavolino, che han fatto sì che la compagine difendente impiegasse qualche atttimo di troppo nella scelta da compiere.

Ciò tende ad accadere quando i calciatori non sono preparati a leggere le circostanze improvvisamente venutasi a creare perché, come detto, sono stati formati secondo un unico binario conoscitivo.

Riuscire, per converso, a sviluppare un processo formativo che consenta di “discernere/scegliere” rappresenta uno degli aspetti più virtuosi della formazione calcistica.  Perché, se non si ha contezza della scelta da compiere, anche la miglior tecnica rischia di non essere utile alla causa.

Negli esempi citati, si è fatto uso del termine “giocata di qualità” per esaltare il gesto (tecnico) risolutivo.

Ma sarebbe risultata “di qualità” anche una giocata della compagine difendente tale da prevenire la situazione di pericolo con un piazzamento diverso o con movimenti differenti.

La qualità, pertanto, si può formare.

Anzi, si deve formare.

E la qualità del singolo è tale solo se contribuisce alla qualità di squadra.

In caso contrario rischia di rimanere un esercizio di stile.

Ne è riprova un ulteriore elemento correlato a quanto dedotto in precedenza… (PARTE 3)

Filippo Galli e Alessio Rui

17 risposte

  1. Perfettamente d’accordo, cito un pezzo del nostro “Modello Anima” a sostegno di questo punto di vista:
    “Il singolo deve crescere all’interno del gruppo. Allo stesso modo in cui in passato imparavamo la tecnica giocando ovunque, quindi in modo complesso, i nostri ragazzi, oggi, devono impararla attraverso il gioco. E’ importante acquisire una tecnica di base, ma non occorre ricercare una perfezione che non può essere la stessa per tutti. Il gesto sperimentato all’interno del gioco sarà personale, ognuno troverà il suo modo di fare in base alle proprie caratteristiche. Non serve eseguire un controllo o un passaggio tecnicamente
    perfetto se poi non si è in grado di renderlo efficace in partita. Meglio un gesto “sporco” ma efficace. Meglio una “tecnica di gioco” che nasca spontanea, frutto delle esperienze vissute giocando e dalla struttura morfologica di ognuno, piuttosto che da esercizi analitici e ripetitivi decontestualizzati dalla gara. In sintesi, la squadra è un sistema aperto, complesso e additivo. Costruisce il proprio percorso attraverso un processo d’allenamento che mette in primo piano le interazioni, le relazioni, la conoscenza, la cultura e il rapporto con l’ambiente. L’obiettivo è quello di sviluppare la capacità di utilizzare tutte queste competenze per adattarsi al meglio e a quelle che sono le scelte che richiede una partita…”
    La qualità tecnica individuale si eleva all’interno di una squadra (sistema) che gli consente di esprimerla nei tempi e negli spazi giusti, quindi decisivi! La qualità tecnica individuale espressa a caso, non supportata da un’idea di squadra (sistema) finisce solo per creare confusione…

    1. Gentile Luca,
      grazie per il Tuo contributo.
      Ci sono due passaggi che, tra gli altri, hanno colto la mia attenzione. Il primo è quando esponi il concetto secondo cui la ricerca della perfezione non può essere la stessa per tutti. Il gesto tecnico dipende da molti fattori, non ultimo l’aspetto morfologico. Le modalità di coordinazione, elemento fondamentale nella ricerca di interpretare al meglio il rapporto tempo/spazio, variano da soggetto a soggetto.
      Il secondo punto che mi preme evidenziare è quando fai riferimento alla possibilità di elevare la qualità tecnica (personalmente azzerderei la qualità in generale, non solo tecnica) del singolo attraverso il processo conoscitivo ed evolutivo del gruppo-squadra. A nostro avviso, è un continuo dare-avere tra singolo e collettivo. Il singolo puo’ “offrire” le proprie qualità (non solo tecniche come descritto nel pezzo) elevando il livello della squadra. Quest’ultima, grazie alle conoscenze collettive ed al processo di apprendimento, può aiutare il singolo ad esternare una qualità superiore o diversa rispetto a quella che porta in dote “di suo”. L’abbiamo definita “corrispondeza biunivoca”.
      Un caro saluto.
      Alessio

      1. Grazie Alessio,
        assolutamente d’accordo con te.
        Il finale era un’inciso sulla qualità tecnica, ma quando parlo di “allenamento che mette in primo piano interazioni, realzioni etc.” intendo proprio quello che hai perfettamente spiegato tu.
        E grazie per la definizione “corrispondenza biunivoca” la utilizzerò.
        Un caro saluto.
        Luca

  2. Mi verrebbe di commentare grosso modo come fatto nel capitolo LA QUALITA’ NEL CALCIO: NON SOLO TECNICA – PARTE 1 … a questo punto evito 🙂
    Mi viene semplicemente da dire che mi trova d’accordo

  3. Leggendo sia la seconda parte dell’articolo che l’intervento di Luca, (per entrambi concordo con 10 punti esclamativi di approvazione), vedo un rischio implicito, quello di sottovalutare la preparazione tecnica individuale.
    Ad esempio, uno stop sbagliato può far perdere i tempi della squadra o , ancor peggio, regalare palla agli avversari.
    Dico questo, poichè personalmente associo lo sviluppo della qualità al progress del calciatore, miscelando in giuste dosi la componente “tecnica individuale di trattamento della palla” con quella “mentale”. Credo che, dai 6 a 9 anni, si debba puntare sulla tecnica individuale e sullo sviluppo dell’istinto.
    Poi, in progress crescente verso la “gestione mentale” della propria partita in correlazione con il resto della squadra.
    In questo modo tutti i bambini si divertiranno, tutti cresceranno, certo partendo da basi diverse avranno sviluppi e valori diversi. Per cui chi è da 2 diventerà da 5 chi da 5 magari da 6 6,5 e così via.
    Poi, ci sarà la selezione naturale, per auto esclusione e per scelte dall’alto. Ma non è obbligatorio fare calcio solo in FIGC, c’è il CSI e le partite tra amici. Quel processo di crescita, piccola o grande che sia, avrà aiutato i ragazzi a migliorarsi e divertirsi in seguito.
    Certo, il contesto conta molto, poichè una cosa è gestire ragazzi di squadre professionistiche dai 15 anni in poi, altra cosa è gestire una scuola calcio di quartier con bambini e ragazzi dai 6 anni in poi.

    E’ evidente come nel primo caso, quello del miglior livello calcistico, l’allenamento alla gestione mentale della partita diventa prioritario per la crescita di ogni calciatore.

    1. Comprendo il tuo timore Giuseppe ma, nel contempo ti chiedo: esiste davvero un gesto tecnico corretto se non e’ inserito nel contesto del gioco? Se non e’ definito dall’obiettivo che il gesto ricerca?

      1. Filippo hai ragione se siamo nel campo agonistico, io faccio in generale un discorso anche mirato su chi magari a 9-10 anni lasci il calcio agonistico.

        In merito al fatto dell’importanza dell’esercizio tecnico, c’è un episodio che ho letto e riguarda Pulici e Giannattasio. Pulici sbagliava regolarmente i gol, Giannattasio a fine allenamento credo gli facesse fare il muro per farlo calciare bene, la cosa funzionò e Pulici insieme agli altri regalò l’ultimo scudetto al Torino.

        Poi, chiaramente hai ragione, nessun gesto tecnico non può non essere finalizzato al gioco. Ma il gesto tecnico deve essere fatto nel modo migliore.

        Ovviamente, escludo i giocolieri della palla che si esibiscono al circo equestre con i loro preziosismi; preziosismi che nel calcio giocato servono a zero.

        Il timore mio era che si potesse trascurare ad un certo punto punto l’aspetto tecnico. Ma non penso minimamente che tu e Alessio intendevate questo.

  4. Buongiorno , credo che il problema sia del momento in cui passare dal gioco più libero a quello contestuale , se il passaggio avviene troppo presto c’è il rischio che la passione per il rapporto col pallone e il gioco non sia ancora radicata e in quel caso passare a un modo di giocare collettivo potrebbe anestetizzarla con tutto ciò che ne consegue ..il problema è per i giocatori bravi ma normali , poi c’è il genio tipo Pirlo a cui non devi insegnare niente , ha già tutto interiorizzato proprio perché non è normale …

    1. Ciao Lucio, innanzitutto grazie per l’intervento, non capisco la questione che poni rispetto ad un modo di giocare collettivo. Ti riferisci alla famigerata fase egoistica del bambino? Solo per provare a risponderti in maniera piu’ appropriata. A presto.

      1. Grazie a te e complimenti per la tua grande carriera nel calcio , sì intendevo dire che c’è una linea sottile tra il nascere della passione e il passare a concetti di giocata funzionale , cioè per seguire uno che ti insegna il gioco situazionale devi aver già interiorizzato una grande passione per il calcio e questa nasce giocando in maniera libera , è un po’ come il discorso che prima giocavano tutti per la strada e venivano fuori i Rivera e i Totti , adesso si salta quel passaggio vai diretto alla scuola calcio dove giochi subito in modalità collettiva ma non abbiamo più fuoriclasse , questo non per dire che non sono d’accordo..ma che forse è una coperta corta , se guadagni da un lato perdi dall’ altro …

        1. Ciao Lucio, non si passa ad uno che “ti insegna il gioco situazionale” ma il bambino viene messo nelle condizioni di apprendere giocando. Non c’e’ un prima ed un dopo.Dovremmo davvero provare a riprodurre la strada nella scuola calcio ma, spesso, abbiamo paura di perdere il controllo. Rispetto alla fase egoistica, ammesso che esista, perche’ dobbiamo stressarla? Non sarebbe meglio far capire, a partire dai genitori e poi ai bambini l’importanza della collaborazione? Dell’aaiuto reciproco? Sono solo spunti di riflessione.
          Concludo dicendo che non credo ci siano giocatori cui non va insegnato niente. Non si insegna niente a nessuno ma’ ripeto, e per me e’ fondamentale, si mettono i giocatori o le giocatrici nelle condizioni di apprendere. La formazione di un giocatore non finisce mai.Spero di non essere stato confusivo.

          1. Certo , forse sono stato io confusivo , fare capire ai ragazzini i concetti che hai esposto è fondamentale , l importante è che abbiano già tanta passione , ecco questa potrebbe essere una sintesi…grazie di nuovo , vi seguo

  5. Ciao Filippo intanto grazie per la possibilità che ci dai di attingere alle tue conoscenze…. ho una domanda da farti:
    qual è la scelta migliore?
    di conseguenza quali sono gli strumenti, oltre ad una conoscenza profonda del gioco, per individuarla?
    Sempre grazie
    Giovanni Migliorelli

    1. Ciao Giovanni e grazie per la partecipazione alla discussione. Bella domanda! A cui, forse, non c’e’ risposta! In teoria, essendo l’obiettivo del gioco fare goal, la scelta piu’ giusta dovrebbe essere quella di passare la palla al compagno piu’ avanzato in modo che possa ricevere e, a sua volta, progredire in avanti, passare in avanti ad un compagno, oppure calciare in porta.Se pero’ non si verificano le condizioni per fare cio’ e’ probabile che la scelta migliore sia un passaggio all’indietro oppure in orizzontale verso un compagno libero a cui possa presentarsi quel tipo di scelta descritta poc’anzi.E’ quindi una continua ricerca di tempo e di spazi per progredire verso la porta avversaria.
      Poi potrebbe esserci la scelta del giocatore di provare a dribblare gli avversari e andare al tiro: e’ sbagliata a priori? no! Lo diventa nel momento in cui il giocatore perde palla!(e noi allenatori ci arrabbiamo!)
      Queste spiegazioni cosi’ articolate mi servono per arrivare a dire che il gioco e’ cosi’ complesso e gli scenari cambiano con continuita’ che non c’e’ una scelta giusta a priori. Questo e’, chiaramente, solo il mio pensiero.
      Quello che posso dirti e’ che tra gli elementi che caratterizzano il gioco, la palla, lo spazio di gioco, i compagni e gli avversari, questi ultimi sono l’elemento che piu’ di tutti non possiamo controllare e sono pertanto cio’ che piu’ determina le nostre scelte. Ecco perche’ dobbiamo allenarci in presenza dell’avversario.Non perche’ si ripetano gli stessi gesti ma perche’ si ripetano tentativi di soluzione delle situazioni di gioco.Spero di non essere stato confusivo.
      A presto.

      1. Intanto grazie per la disponibilità…. condivido e la faccio mia la tua risposta forse non c’è….. o meglio potremmo dire, correggermi se sbaglio, tutte le scelte che rispettano i principi e il gioco sono corretta in quanto frutto di un pensiero?
        le scelte corrette possono essere tali quelle che risolvono una situazione di gioco?
        Grazie 🙏

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