LE NAZIONALI CHE NON HANNO VINTO IL MONDIALE MA SONO ENTRATE NELLA STORIA DEL CALCIO. L’UNGHERIA DEGLI ANNI ’50 – PARTE 2.

Alessio Rui

Alessio Rui è nato e vive a San Donà di Piave-VE ove svolge la professione di avvocato. Dal 2005 collabora con la Rivista “Giustizia Sportiva”, pubblicando saggi e commenti inerenti al diritto dello sport. Appassionato e studioso di tutte le discipline sportive, riconosce al calcio una forza divulgativa senza eguali. Auspica che tutti coloro che frequentano gli ambienti calcistici siano posti nella condizione di apprendere principi ed idee che, fatte proprie, possano contribuire ad una formazione basata su metodo e coerenza, senza mai risultare ostili al cambiamento.

La squadra d’oro – L’Ungheria dei primi anni ’50Parte 2

Immaginate una sorta di Treccani dedicata ai più grandi mancini del football.
Alla voce Maradona  trovereste il sinistro dell’asso argentino definito come “fatato”, alla voce Rivelino potreste imbattervi in “terrificante”, per Passarella trovereste probabilmente scritto “dirompente”. Arrivereste poi a Mihajlovic con l’appellativo di “iperbolico”, sino al “perfido” che potrebbe accompagnarsi a Robben, non prima di aver visto associare il termine “telecomandato” all’incantevole  piede sinistro di Lionel Messi.

Di sicuro, arrivati a  Puskas trovereste scritto “chirurgico”

Ferenc Puskas

Per lui non faceva differenza calciare da una zona all’altra del campo. Nemmeno la distanza dalla porta rappresentava una scriminante. Quando calciava era effettivamente chirurgico, ovvero in grado di indirizzare la palla indistintamente verso uno dei quattro angoli della porta. Ma ciò che ancora oggi lo rende unico è la dinamica con cui si apprestava a colpire la palla. Che calciasse dalla breve, media o lunga distanza, i muscoli della coscia erano tutti in estensione, lasciando sempre andare la gamba.

Il suo movimento di tiro è paragonabile al gancio sinistro con cui Joe Frazier era solito abbattere gli avversari sul ring, ovvero un movimento in cui l’avambraccio non si piegava e il colpo a braccio teso giungeva a destinazione con una violenza inaudita..  

All’unicità della meccanica di tiro devono essere aggiunti una media goal strabiliante (1186 reti  nonostante non abbia giocato per oltre due anni quand’era nel pieno della carriera)  e un controllo di palla che, addizionato ad una visione di gioco preventiva, lo ha reso uno dei più grandi calciatori di sempre.

 
Nell’anno seguente al trionfo olimpico, la Squadra d’Oro, come da usanza dell’epoca, venne invitata a giocare contro l’Inghilterra a Wembley. Memorabile l’intervista con cui alla vigilia del match Gianni Brera chiede al CT inglese lumi sul modo con cui la sua squadra avrebbe controllato Hidegkuti. La risposta, tra lo sprezzante e l’annoiato, lascia intendere che Hidegkuti non lo preoccupa per nulla. Ed infatti il nostro gonfia la rete al primo minuto per poi ripetersi in una partita che, più ancora che per il risultato di  6-3 in favore degli Ungheresi, passerà alla storia per l’iconico gol messo a segno da Puskas nel tempio del calcio.

Ovviamente i sudditi di Sua Maestà chiedono ed ottengono una pronta rivincita, promettendo che stavolta faranno sul serio. Ed infatti anziché prenderne 6, ne pigliano 7!!!

Non prendeteli in giro, è il trattamento che sono solite subire tutte le avversarie dell’Ungheria.
La Germania, ad esempio, ai mondiali del 1954, ne incassa addirittura 8!!! Accade in una gara del girone iniziale in cui Puskas esagera con le magie e con i tunnel (l’abbiamo premesso che, oltre che rigorosi e razionali, sono pure sfacciati). Eccessi di scherno che inducono gli avversari ad azzopparlo, costringendolo a saltare le memorabili sfide con Argentina e Brasile e a presentarsi il giorno della finale in condizioni che definire menomate è poco.
Finale che il destino vuole si debba giocare contro chi se non contro i Tedeschi?

Il CT ungherese, Sebes, non sa che fare. I compagni capiscono che Ferenc non è in grado di scendere in campo ma lui, che è il più forte giocatore al mondo, vuole esserci.

Effettuiamo un salto nel tempo in avanti di 40 anni; non è forse la stessa circostanza che si palesa davanti ad Arrigo Sacchi con Roberto Baggio alla vigilia della finale mondiale di Pasadena?
Non è forse la medesima scena che nel 1998 si trova a vivere Zagalo con Ronaldo prima della finalissima contro la Francia?

Puskas, non al meglio, gioca e segna. Ciò nonostante, l’Ungheria, con parte della squadra contraria all’impiego del fuoriclasse menomato, si sfalda e perde un mondiale che, onestamente, nessuno avrebbe immaginato potesse perdere.

Sebes, come Sacchi e Zagalo, vivrà, come i suoi giocatori, con il rimpianto di ciò che poteva essere.
Ma nel caso della Squadra d’Oro la sconfitta non ne intaccherà la bellezza perché quel modo unico di intendere (e di giocare) il calcio la renderà per sempre immortale, passando sopra  il risultato ed oltre le disavventure umane che molti dei suoi protagonisti vivranno durante gli scontri del 1956.

Quella squadra diverrà un catino di idee da cui Rinus Michels andrà ad attingere parte dei principi del calcio olandese che si mostrerà in tutto il suo fascino vent’anni più tardi.

Anche, ma non solo, per questo la Squadra d’Oro risultera’ per sempre il punto di partenza di un percorso di bellezza ed utopia calcistica che, emerso dalle acque del Danubio, vivra’ le tappe principali nelle citta’ di amsterdam e Barcellona.

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