Malgrado il piccolo vantaggio dell’andata, la squadra di Oddo non entra mai in partita. La Spal ha vita facile nel far valere agonismo, motivazione e furbizia decisamente superiori. E ora che cosa succede? Serie D, ripescaggio o addirittura cancellazione del progetto?
Lo avevo scritto una settimana fa, dopo la gara di andata vinta per uno a zero: bene il vantaggio conquistato, ma il margine è davvero sottile se pensiamo che dovremo giocare il ritorno in uno stadio pieno (diecimila persone, alla fine), contro una squadra storica che si gioca il tutto per tutto in novanta minuti. Lo ha confermato indirettamente Francesco Baldini, tecnico dei ferraresi: “Ho passato tutta la settimana a spiegare ai ragazzi che il Milan aveva fatto l’errore di lasciarci vivi”. E infatti, sabato 17 maggio è andata come è andata: la Spal ha cercato la verticalità, la palla, la porta, anche con le maniere forti (diciotto falli contro nove al termine della partita). Di contro, il Milan Futuro ha provato il suo fraseggio educato e pulito, senza metterci la stessa precisione dell’andata, quando aveva dominato il primo tempo con il gioco, senza riuscire a coinvolgere Chaka Traorè, ancora una volta punta “inventata” che aveva fatto bene all’andata e, insomma, subendo in tutto e per tutto la differenza di rabbia agonistica degli avversari. Non è un caso che entrambi i gol siano nati da palle recuperate dalla Spal in occasione di uscite imprecise del Milan, a sancire la supremazia dell’agonismo sul palleggio, specie se questo palleggio è condizionato dalla paura di sbagliare.
A quest’ora conoscerete già il risultato: il Milan Futuro ha perso per 2-0 e almeno in teoria retrocederà in serie D. Pertanto, sbrighiamo presto la pratica delle note di cronaca e poi proviamo a tirare qualche somma (o sottrazione).
Stessa formazione, esiti diversi
I rossoneri sono scesi in campo con l’identica formazione dell’andata: Nava in porta, difesa a tre con Minotti, Camporese e Bartesaghi; centrocampo a cinque con Branca, Sandri e Alesi interni e Quirini e Bozzolan sulle fasce; in attacco i due “piccoli” Ianesi e Traorè. Per quanto riguarda l’attacco manca, lo sapete, Camarda, che non ha raggiunto le 25 presenze in regular season e quindi non può giocare le fasi finali avendo giocato nel frattempo in Serie A, e rientra, ma solo in panchina, l’altra punta di ruolo, Magrassi; non sembra più un’opzione valida, invece, Turco, disponibile.
La partita mostra da subito i suoi temi di fondo: dopo dieci secondi il trequartista spallino Parigini entra nell’area del Milan. Era fuorigioco, ma si capisce che la Spal fa sul serio. Al quarto minuto Ignacio Molina, attaccante argentino ventottenne potenzialmente fortissimo (lo vedremo), uno che forse con un altro carattere giocherebbe in serie A, si è già tuffato due volte e andrebbe ammonito. La dichiarazione di intenti è inequivocabile: si pressa, si simula, si “chiagne e fotte”: tutto il repertorio di trucchi del mestiere è in campo, contro un Milan ingenuo come se fossimo alla seconda di campionato. Ed è così che un Branca davvero in disarmo al 22’ perde la palla in uscita ad opera del roccioso mediano Awua, che la serve a Parigini il quale corre sulla sinistra constatando felice l’assenza di Minotti, la mette in mezzo per l’accorrente Awua stesso, che tira dal dischetto: deviazione non si sa se volontaria di Molina e gol. Uno a zero, e con la parità sul campo passa la Spal in virtù del miglior piazzamento in stagione regolare. Ci vorrebbe un gol del Milan, il tempo c’è, e invece arriva quello della Spal: dal limite dell’area il solito Molina sposta la palla con un movimento raffinato e poi lascia partire una parabola perfetta che si insacca nel “sette” alla destra di Lapo Nava. La frittata è fatta: a questo punto di gol ne servirebbero due, che non sarebbero un’impresa impossibile, non fosse che il Milan Futuro ha perso le sue poche certezze. Ve la faccio breve: a poco serviranno i frenetici cambi di Oddo (dentro Magrassi, Turco, Omoregbe, Sia, tutti i giocatori offensivi disponibili); l’inerzia della partita è ormai scritta nel piombo, come si faceva una volta con i giornali, e non c’è modo di invertirla. La partita finisce così, e se il primo tempo dell’andata era stato la miglior frazione di gioco dell’intera stagione, questo ritorno non è mai sembrato essere in discussione: curioso, se si pensa che la Spal è l’unica squadra che il Milan Futuro ha battuto due volte nel girone, tre su tre se contiamo l’andata del playout.
Difficile cercare colpe individuali: oggi anche i giocatori più affidabili sono mancati, in una gara fatta innanzitutto di agonismo e solo successivamente di tecnica. Come scrivevamo mesi fa, “è mancata la voglia” (la citazione è di Bonera). Nota di colore (nero): alla fine della partita, per il Milan nessuno si è presentato a parlare, né Oddo, né Jovan Kirovski, unico membro della dirigenza presente: Ibrahimovic aveva assistito alla partita della Primavera, vinta con gol del figlio (sesto posto e playoff raggiunti, complimenti), in mattinata, mentre gli altri dirigenti avevano sicuramente qualcosa di più importante da fare. Con una battuta, mi viene da dire che avrebbero potuto mandare davanti ai microfoni Matteo Gabbia, unico hombre vertical di questa società.
E adesso? Lasciare o raddoppiare (o sperare)?
Come abbiamo scritto una settimana fa, ci sono curiose analogie fra il destino del Milan e quello del Milan Futuro: entrambe le formazioni hanno mancato l’occasione decisiva contro una squadra emiliana, incontrata due volte in pochi giorni (anche se per motivi diversi) e battuta la prima volta. Entrambe le formazioni hanno fatto due mercati, relativamente costosi (si calcola che il budget della seconda squadra sia stato di quindici milioni, non proprio una cifra simbolica), uno in estate e uno a gennaio, senza risolvere niente. Entrambe hanno cambiato allenatore e – idem – non hanno risolto niente. Entrambe hanno mancato anche l’obiettivo minimo. Entrambe, aggiungo io, dovrebbero prenderne atto e sostituire i dirigenti responsabili prima ancora che allenatori e giocatori.
Intanto resta il dubbio: che cosa succederà? Da quest’anno le seconde squadre che gioca(va)no in serie C possono retrocedere in serie D: il Milan può decidere di accettare il verdetto e di disputare il massimo campionato dilettanti, modificando evidentemente i contratti dei calciatori (che peraltro sono depositati in Lega Serie A, essendo una seconda squadra). Ma ha ancora senso? Ha senso che Francesco Camarda, insieme ai Camarda del futuro, cioè i migliori giocatori del settore giovanile del Milan, giochino in Serie D? Non lo so, davvero: anzi, lo chiedo al massimo esperto della materia – il padrone di casa, Filippo Galli – e lo chiedo a voi lettori.
In alternativa, il Milan potrebbe puntare su un ripescaggio in Serie C, come del resto ha fatto un anno fa. Speculare sul fallimento di una società non è mai bello, ma qualora capitasse si potrebbe ritentare l’avventura, magari facendo tesoro delle indicazioni di questa stagione.
Esiste poi – con questa società così imprevedibile non si può dare nulla per scontato – una terza possibilità: abbiamo scherzato, la seconda squadra non funziona, lasciamo perdere. Sarebbe, questa, l’ipotesi peggiore, almeno a mio avviso. Il tema della valorizzazione dei giovani resta importante per tutti e in particolare per il Milan, che quest’anno ha giocato spesso senza giocatori italiani e ha sofferto proprio la mancanza di un nucleo “valoriale” prima ancora che tecnico. Se ci sono altri modi per far crescere i nostri ragazzi, ben vengano: ma non credo serva ricordare la Juventus, che non ha risolto tutti i suoi problemi, ma ha fatto un bel mix fra giocatori portati in prima squadra e player trading. Non credo che serva ricordare l’Atalanta, che zitta zitta è arrivata ottava nel girone A e disputerà i playoff (tutta esperienza in più per quei ragazzi, che presto vedremo in Serie A). Non credo che serva ricordare che il più forte giocatore del mondo è frutto del vivaio della sua squadra (e non è la prima volta). Non credo, insomma, che serva ricordare che un buon settore giovanile, insieme allo scouting, ai dati, alla solidità finanziaria, eccetera, è un elemento indispensabile per la salute sportiva ed economica di ogni squadra. Non credo, quantomeno, di doverlo ricordare su questo blog.

BIO: Luca Villani è nato a Milano il 31 gennaio 1965. Giornalista professionista, oggi si occupa di comunicazione aziendale e insegna all’Università del Piemonte Orientale. Tifoso milanista da sempre, ha sviluppato negli anni una inspiegabile passione per il calcio giovanile e in particolare per la Primavera rossonera. Una volta Kakà lo ha citato in un suo post su Instagram e da quel momento non è più lo stesso.