Il detto “Se nessuno guadagna, nessuno sale” che gira nelle categorie dilettantistiche è stato ufficialmente formalizzato, giovedì scorso, dal servizio delle Iene. Il peggio che si poteva pensare ma che tutti, in fondo al proprio cuore sapevano bene, ci è stato sbattuto inequivocabilmente in faccia.
D’ora in avanti nessuno potrà dire non lo sapevo. Non potranno più dirlo i dirigenti delle federazioni, i dirigenti delle società, i direttori sportivi, i procuratori, gli allenatori, i talent scout, i giornalisti, i tifosi, i genitori e i giocatori. Perfino i magazzinieri e gli addetti alla manutenzione del campo non potranno dire che non sapevano.
Adesso cosa succederà? Azzardo una risposta: Nulla.
Per qualche settimana sui social si scriveranno fiumi di post indignati. Alcuni genitori finalmente avranno modo di sfogare la propria indignazione sostenendo che non avendo pagato il figlio non è arrivato in serie A. Verrà aperta un’inchiesta su Salvatore Bagni che si chiuderà, tra qualche anno, in prescrizione. La nazionale vincerà il girone di qualificazione ai mondiali e tutti potranno dire che finalmente il meccanismo di selezione è ripartito, anche se non sarà vero e tra qualche tempo salterà fuori un altro Salvatore Bagni. Ci si indignerà nuovamente, tutti non potranno non sapere e la giostra ricomincerà. Alla prossima eliminazione della nazionale si tornerà a scrivere fiumi di inchiostro e l’acqua continuerà a scorrere sotto i ponti come nulla fosse.
Eppure non è una questione di regole perché quelle ci sono già. Non è nemmeno una questione di controlli perché sarebbe impossibile controllare ogni singolo giocatore, direttore, procuratore. Il problema è che è necessario costruire una coscienza comune. Un sistema di valori condiviso. Il vero problema non è chi ha preso i soldi. Se non ci fosse lui ce ne sarebbe un altro. Il vero problema è che, in fondo al cuore, anche l’operaio pagherebbe, se avesse i soldi, per far emergere “il sangue del proprio sangue ingiustamente vessato da allenatori e direttori corrotti”.
Mi ha colpito moltissimo la frase di Francesco Totti a difesa del primogenito: “a mio figlio hanno tolto un sogno” dimenticando come migliaia di ragazzi sputano sangue per giocare in Eccellenza o in Promozione mentre, per lui, è normale essere in sovrappeso e partire dalla serie D. Eppure alla fine tutti in cuor loro hanno pensato: “E certo! Se mi chiamassi Totti anche io lo potrei fare” come se fosse giusto che il cognome, che in questo caso sostituisce i soldi, garantisca un diritto.
Mi viene in mente la scena del film “L’ora legale”. Quando viene eletto sindaco il marito della sorella, il buon Ficarra si presenta indossando una felpa con la scritta, in puro stile Salvignano, “Cognato” e cerca di superare le persone in attesa per avere udienza. Allora l’usciere che ha ricevuto ordini precisi dal sindaco di far rispettare la fila, da tutti indistintamente, interviene e lo ricaccia indietro. I presenti indignati attaccano l’usciere al grido “…ma se neanche più il cognato può saltare la fila ma che mondo stiamo costruendo…”
Montanelli sosteneva che gli Italiani, in politica, sono per un dieci per cento peggio di noi, per un altro dieci percento meglio di noi, ma per il restante ottanta esattamente come noi. Vale certamente anche per il mondo del calcio.

BIO: Alberto Salina.
Vive ad Ornavasso in provincia di Verbania.
Sposato con Laura. Hanno quattro figli: Matteo, Andrea, Gabriele e Marta. Laureato in Scienze Geologiche, lavora nel settore della produzione di materie prime minerarie.
Appassionato di storia e libri gialli ha pubblicato la serie:
Le indagini del Maresciallo Gatti divise in sette capitoli:
Nell’ottobre del 2013 il suo primo romanzo: I Moschettieri del Duce, nel novembre 2014: Adelaide, nel mese di novembre 2015: L. SS Adolf Hitler, nel settembre del 2016: Il Partigiano Mondo, nel dicembre del 2017: Il Genova, nel dicembre del 2019: Gesù Bambino e nel novembre del 2022: Il Mulino.
www.albertosalina.it