RISPETTO E BENESSERE: LA FORMAZIONE RELAZIONALE DELL’ARBITRO.

La figura dell’arbitro di calcio è molto più complessa e ricercata di quanto non appaia al grande pubblico quando ne contesta le decisioni e le attribuisce sfortune e ingiustizie. Secondo le definizioni ufficiali, l’arbitro dirige la gara e ne assicura il corretto svolgimento secondo regole condivise.

Dirigere vuole dire guidare le azioni delle persone coinvolte, che anche nel più basilare dei casi sono almeno alcune decine: gli atleti o le atlete che giocano, le rispettive panchine con allenatori e dirigenti e il pubblico. Si tratta di persone che si sentono in competizione tra di loro per ottenere un successo a cui tengono in nome del senso di appartenenza e dell’orgoglio personale, persone che quindi vanno incontro a emozioni che non necessariamente sono in grado o vogliono gestire nel migliore dei modi. E’ una situazione delicata e tutti vorremmo che si gestisse da sola grazie all’autocontrollo, al rispetto, al buon esempio e alla buona educazione di tutti i partecipanti, ma questa non è la realtà di oggi e nemmeno di domattina.

Mentre lavoriamo sul senso civico dei nostri concittadini, possiamo e dobbiamo trovare tutti delle soluzioni che permettano di vivere lo sport in modo più sano, limitando la competizione eccessiva e le reazioni che con lo sport non hanno niente a che fare.

Questo tipo di obiettivo non si ottiene solo con la repressione dei comportamenti inadatti, che quando possibile è doverosa, ma anche con una formazione relazionale che prevenga e controlli quei comportamenti.

Sia le società sportive, sia l’arbitro sono figure centrali di una tale attività: le società devono selezionare, formare e controllare accuratamente i propri tesserati, mentre gli arbitri possono essere formati in modo approfondito anche dal punto di vista relazionale in modo da dirigere non solo gli aspetti tecnici e regolamentari del gioco, ma anche quelli comportamentali, comunicativi ed emozionali che ne sono le premesse.

Quando le competenze relazionali dell’arbitro non sono di ottimo livello, il rischio è quello di essere oggetto di tentativi di manipolazione. Dai campionati giovanili alle massime serie del professionismo, il meccanismo che si osserva è sempre lo stesso. La panchina di una squadra inizia a mettere sotto pressione l’arbitro, chiedendo falli a proprio favore o contestando a gran voce le decisioni. I giocatori di quella squadra urlano per un qualsiasi contatto, protestano, offendono, bestemmiano, richiamano continuamente l’attenzione del direttore.

Se quest’ultimo non riesce immediatamente a intervenire, i toni si alzano sempre di più e con essi la tensione. Se ha mostrato solo una timida resistenza, l’arbitro in quanto essere umano può trovarsi con un livello di stress tale da assecondare in una o più occasioni la visione dei fatti della parte più irrispettosa, anche solo per calmare momentaneamente le acque. Se questo accade, l’altra squadra non starà a guardare: assumerà gli stessi comportamenti degli avversari nella speranza di ottenere lo stesso risultato. A questo punto la tensione in campo salirà a livelli intollerabili. Si assisterà a una partita in cui tutti protestano, molti accentuano i falli o ne commettono di gravi e inutili, tutti reclamano ingiustizia, il pubblico litiga, l’attenzione si disperde e con essa il controllo: tutto allora può accadere.

L’arbitro può provare a prevenire queste situazioni in due modi: accrescendo la sua preparazione relazionale ed emozionale e maturando una piena consapevolezza della differenza tra autorità e autorevolezza.

Nel primo caso, la base è saper gestire la pressione. Vuol dire conoscerne la natura e saper canalizzare le energie nervose provenienti da situazioni stressanti, canalizzandole nell’attenzione sulle nostre azioni. Non è una capacità scontata, ma si può maturare con una maggiore intelligenza emotiva e con allenamenti specifici, come quelli visivi. Una volta che ci sia questa capacità, si potranno poi definire le migliori strategie e tattiche di comunicazione direzionale.

Puntare sull’autorevolezza vuol dire non imporre semplicemente le proprie decisioni, ma lavorare perchè siano gli altri a riconoscerle spontaneamente. E’ un’arte che qualcuno ha e che tutti gli altri possono allenare; anche questa non si può mai dare per scontata.

Un arbitro autorevole comunica con le parole e con il linguaggio del corpo fin dal momento in cui si presenta, cioè prima della partita, ad esempio evidenziando quei comportamenti manipolatori sui quali non potrà transigere: la richiesta di falli, la contestazione delle decisioni, l’esagerazione del contatto, l’offesa diretta e indiretta. Se un arbitro ha il coraggio e l’iniziativa di comunicare prima della gara questi principi, e nel frattempo ricorda a tutti che una partita si svolge con la collaborazione di tutti, metterà più di un dubbio a chi lo vuole manipolare e non sarà costretto a intervenire solo a seguito di azioni scorrette. Se poi, una volta in campo, apparirà allo stesso tempo deciso nelle sanzioni, ma comunicativo e capace di gestire le proprie emozioni, allora si comporrà il quadro di un effettivo direttore di gara, autorevole e competente seppur fallibile come chiunque altro. Più difficilmente perderà il controllo di sé e aiuterà gli altri a non perdere il proprio, a qualsiasi livello.

Per essere sicuri di andare in questa direzione c’è bisogno di un’approfondita formazione relazionale fin dal primo inserimento fatta di consapevolezza e allenamento. Arbitri più preparati si troveranno in minore difficoltà, anche se giovani: il fenomeno dell’abbandono e la necessità di ricorrere continuamente a nuovi reclutamenti potrebbero diminuire drasticamente.

Con una visione diversa delle competenze dell’arbitro, si attirerebbero più facilmente anche gli ex calciatori di ogni età, che sono già di per sé esperti nelle situazioni di gioco, soprattutto in quelle al limite.

Fare l’arbitro diventerebbe davvero, sempre e comunque, un investimento nella propria crescita personale da valorizzare in un curriculum. A dispetto delle situazioni di disrispetto in cui ci si continuerebbe a trovare occasionalmente.

@playthenow_coaching su Instagram e Stefano Nicoletti su Linkedin.

 BIO: Stefano Nicoletti è un appassionato formatore, cresciuto in grandi aziende del settore finanziario in cui ha maturato e coltivato competenze trasversali su performance, collaborazione, negoziazione, mindfulness e gestione dell’attenzione. È un esperto di allenamento visivo e segue professionisti e giovani talenti dello sport di tutto il mondo. La sua frase preferita è del pugile George Foreman: “Nell’incontro con Ali non sentivo alcuna paura. Ho pensato: è facile. È quello che aspettavo. Nessun nervosismo. Nessuna paura. E ho perso”.

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