PROFESSIONALIZZAZIONE DEL FENOMENO SOCIALE CALCIO. LEZIONE 4: VISIONE GLOBALE DEL CALCIATORE E DELLA SQUADRA IN AMBITO PREVENTIVO E RIABILITATIVO.

Ho avuto l’opportunità di frequentare presso l’Università Cattolica di Milano alcune lezioni del Corso di “Teoria, tecnica e didattica degli sport individuali e di squadra – CALCIO”, tenuto dal Prof. Antonello Bolis e coordinato da Edgardo Zanoli.

In una serie di articoli proporrò le note raccolte in aula. Sono appunti, come mi piace definire, sparsi.

Ecco quelli relativi alla 4^ lezione svoltasi il 26 ottobre 2023 e tenuta dal Prof. Matteo Moranda.

VISIONE GLOBALE DEL CALCIATORE E DELLA SQUADRA IN AMBITO PREVENTIVO E RIABILITATIVO.

Edgardo Zanoli presenta il Prof. Moranda e Michael Agazzi, ex portiere professionista di, tra le altre, Foggia, Triestina, Cagliari, Cremonese, proprietari e gestori di “Dimensione Saga” https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwj–63Ni5mCAxXGa_EDHYDWAiMQFnoECBkQAQ&url=https%3A%2F%2Fwww.dimensionesaga.it%2F&usg=AOvVaw13blWXEnQ8Zp9G25VGVAN6&opi=89978449

Zanoli ribadisce come in questo corso si stia proponendo un approccio, tra i tanti, per cui durante la lezione verranno ripresi concetti già espressi nelle precedenti lezioni: apprendimento, formazione, metodo, con un accento su tutto ciò che riguarda l’umanizzazione, l’aspetto umano, l’importanza delle relazioni tra le persone nel determinare un certo modo di fare le cose. Un’idea secondo cui non c’è una strada predefinita ma la si costruisce, con le persone, nel processo di lavoro. Trovare professionisti che si occupino di preparazione atletica, riabilitazione, riatletizzazione e prevenzione con attenzione all’aspetto della relazione con il paziente, non è così facile.

Il Prof Moranda prende la parola e prova a coinvolgere gli studenti giunti al secondo anno chiedendo loro chi, dopo il triennio, avesse intenzione di proseguire gli studi per ottenere la laurea magistrale e, in caso di risposta positiva,dove volessero frequentare.

“Dove? È uguale”, risponde un ragazzo.

“Non è uguale”, ribatte il Prof incalzandoli e chiedendo cosa vorrebbero fare in futuro ed in quale sport vorrebbero lavorare.

Ascoltate le risposte, il Prof si rivolge all’aula dicendo che, prima di tutto, occorre stabilire insieme che cosa intendiamo per PREVENZIONE, che cosa significhi PREVENIRE perchè se non viene assegnato un significato, un valore, diventa difficile parlarne.

Arrivano le prime risposte:

-“agire in modo tale di evitare rischi”

-“prepararsi in modo da evitare infortuni”

Sono dunque uscite le parole rischi e infortuni.

Che cos’è l’infortunio in parole semplici?

“Un dolore che ti obbliga a star fermo”, una delle risposte. “No!”. Non è detto che l’atleta infortunato abbia dolore. Un infortunato lungodegente, ad esempio, ad un certo punto non sente più il dolore ma è comunque infortunato. Il dolore non è un requisito dell’infortunio.

“Mantenere lo stato fisico per cui sono inabilitato a svolgere la mia attività sportiva per un tempo indefinito”, risponde un altro studente. “Ciò mi permette di avere più possibilità di non incorrere in un infortunio.”, prosegue.

Entriamo più propriamente nel calcio. Quali sono gli infortuni più frequenti nel calcio?

-lesioni del crociato -lesioni muscolari -distorsioni nella caviglia -fratture

Andiamo con ordine, partendo dalla lesione del legamento crociato anteriore (LCA). L’incidenza di questo infortunio a livello di Serie A è pari a poco più di un infortunio per squadra per stagione. Un dato molto alto.

Passiamo all’infortunio muscolare. Com’è facile intuire i muscoli che subiscono più infortuni sono quelli degli arti inferiori tra cui i bicipiti femorali (flessori-ischio crurali), il polpaccio (gastrocnemio), gli adduttori.

I bicipiti femorali, che sono muscoli flessori, sono più predisposti all’infortunio perchè sono muscoli meno forti rispetto a quelli della loggia anteriore. I muscoli anteriori sono qelli che in tutte le azioni dinamiche ci permettono di procedere in avanti, i flessori ci permettono di frenare. Se non ci fossero i flessori saremmo privi di controllo in tutti i movimenti di estensione. Proprio questa funzione di freno determina il maggior rischio di infortunio.

In più, se parliamo del bicipite femorale si aggiunge un altro fattore di rischio che è dato dal fatto che si tratti di un muscolo biarticolare, un muscolo che passa su due articolazioni e quindi lavora su più piani.

Torniamo alla definizione di prevenzione e ragioniamo su un giocatore della rosa che non puó essere a disposizione dell’allenatore. Ciò determina diverse conseguenze. Nel giocatore si genera una sensazione di inadeguatezza, frustrazione, fatica mentale e, a volte, se l’inattività si protrae nel tempo, di depressione. Per un effetto domino, questa condizione, può avere ripercussioni sugli altri soggetti dell’organizzazione. L’allenatore avrà meno scelte e perciò dovrà far giocare sempre gli stessi. Quindi, se da una parte non posso contare sulla performance del giocatore infortunato, dall’altra aumenterà il rischio di infortunio per gli altri giocatori. La società, a sua volta, si troverà ad avere un costo a bilancio che non viene ripagato attraverso la performance del giocatore. Si perde il potenziale di quel giocatore nell’organizzazione e di conseguenza diminuisce anche quello di squadra.

Riprendiamo il discorso relativo ai fattori di rischio dell’infortunio del legamento crociato o della distorsione al ginocchio più in generale.

muscolatura debole. A tal proposito potremmo valutare quanta forza hanno i muscoli ma soprattutto quanto e come sono coordinati tra loro perchè, come abbiamo detto, essendoci una catena muscolare estensoria che mi procura una forza ed una catena muscolare flessoria che mi permette di “frenarla”, se l’equilibrio tra le due non è ottimale la possibilità di infortunio al ginocchio è maggiore.

Anche gli infortuni pregressi potrebbero portarmi ad ulteriori infortuni. Lo storico del singolo giocatore ci permette di individuare un più alto o più basso fattore di rischio rispetto, ad esempio, alla distorsione di ginocchio.

L‘irregolarità del campo, le differenti superfici di gioco (erba naturale ed erba artificiale o terra battuta). La differenza di grip, di rotazioni, di attriti, mette in difficoltà le articolazioni. Le differenti condizioni del terreno di gioco, duro, secco e poi fangoso e pesante.

Infine anche il cambio degli spazi di lavoro sul terreno di gioco può essere un fattore: Potrei essere abituato a lavorare su ampiezze di 45 metri e poi trovarmi in un campo di 65 metri di larghezza e quindi con la necessità di spostarmi, improvvisamente, a diverse velocità, con diversi spazi da coprire mettendo a repentaglio la struttura.

La mobilità articolare. L’idea che il range di movimento delle articolazioni vada sempre tenuto in considerazione come una base preventiva dell’infortunio da distorsione è necessaria. È chiaro che non tutti possano avere la stessa mobilità articolare però posso lavorare per ogni giocatore con l’obiettivo di raggiungere la sua massima mobilità.

Un altro fattore predisponente l’infortunio è la fatica. Esistono differenti tipi di fatica. C’è una fatica periferica che riguarda la muscolatura. Perchè i muscoli possono contrarsi più lentamente, con più fatica, con meno coordinazione reciproca? Cosa succede? Cosa non riescono più a fare? In sintesi potremmo dire che, poichè i muscoli devono estrarre energia dal sistema centrale, trasformarla e utilizzarla, quando questa capacità viene meno, non avendo più energia non sono più in grado di contrarsi e quindi di muovere gli arti.

Se invece parliamo di una fatica più centrale, relativa al sistema nervoso, ci riferiamo alla mancanza degli input necessari a dare il là al movimento. Tale condizione può essere dovuta ad una serie di sforzi che determinano un’altissima liberazione di ormoni dello stress che manda in tilt il sistema nervoso centrale e, di conseguenza, viene meno il corretto e pronto movimento.

Come faccio a rendermi conto se il mio giocatore, i miei giocatori, la mia squadra più in generale, è più o meno affaticata?

Occorre fare un ragionamento molto più integrato e profondo rispetto alla questione perchè può essere che alcuni giocatori possano sentire un certo tipo di fatica, alcuni un’altro , altri nessun sintomo di fatica ecc…Come faccio a rendermi conto che i miei giocatori stiano andando in questa condizione di fatica? Potrei rifarmi a dati atletici semplici o a dati di match analysis che mi permettono di vedere il calo di performance. A volte, però, non è detto che la performance cali.

Cos’altro mi potrebbe far capire che il giocatore sta andando in fatica? Cosa si potrebbe fare?

Potremmo parlare con il giocatore, ascoltarlo. Ci sono decine di questionari e di scale che ci indicano il grado di stanchezza ma parlare al giocatore, instaurare una relazione con lui, rendersi conto del suo grado di percezione del proprio stato, è un modo per capire le condizioni del giocatore.

Un altro fattore che porta ad infortuni di distorsione è l’aspetto posturale e l’esempio più eclatante è la differenza di angoli esistente tra bacino e ginocchio, per ragioni fisiologiche, tra l’uomo e la donna. Ciò ci porta a dire che con il valgismo che si crea, (comunemente chiamate gambe a X, accentuato soprattutto nelle donne) il rischio di rottura del legamento crociato anteriore aumenti in quanto subisce un sovraccarico notevole. Negli uomini, generalmente, siamo in presenza di un varismo (comunemente gambe ad archetto) e quindi, sostanzialmente, si è più lontani da una situazione di rischio, almeno per questo tipo infortunio.

I fattori di rischio sono diversi, alcuni più analitici altri più sistemici.

Conoscendo tutti questi fattori di rischio, allenatore e staff devono lavorare sulla prevenzione. In che modo?

Facendo rinforzo muscolare”, risponde un ragazzo.

Come eseguo il rinforzo muscolare? Lo possiamo fare in tantissimi modi, quali conoscete?”, chiede il Prof ai ragazzi.

-pesistica (termine generico) -isometria -a corpo libero -con gli elastici -pliometria, sono le risposte dei corsisti.

La caratteristica principale del lavoro isometrico, della contrazione isometrica, è quella di esprimere forza mantenendo la lunghezza dei muscoli continuamente identica, non c’è movimento.

Se invece lavoro con gli elastici la resistenza è variabile, progressiva (contrazione auxotonica).

Il lavoro pliometrico invece prevede tutto un ciclo di accorciamento e stiramento muscolare.

Ragionando su queste tre modalità di lavoro, qual’è quella più lontana dal gioco sportivo, da ciò che avviene in una partita di calcio?

Quali movimenti fanno i giocatori dentro una partita?

-cambi di direzione: Mentre sto correndo in una direzione, per uno stimolo mio interno oppure esterno, decido di, o sono costretto, a cambiare la direzione della mia corsa.

-cambi di senso, ossia un cambio di direzione a 180°

Detto questo, sapete quanti chili si spostano, approssimativamente, facendo un cambio di direzione?

Si spostano più o meno 300 Kg. Avete mai fatto uno squat con 300 Kg? Nessuno ha mai spostato un carico di 300 Kg facendo uno squat eppure si riesce a fare un cambio di direzione. Inspiegabile!

Com’è possibile che, se non riesco a spostare tutti quei Kg in un movimento verticale, riesca a farlo in una condizione dinamica e monopodalica? Riesco a farlo grazie alle leve del nostro corpo, tramite la distribuzione del peso del nostro corpo, riusciamo a sviluppare una forza che ci permette di spostare 300 Kg. Nell’esecuzione dello squat non riusciamo a spostarlo perchè le nostre leve sono allineate. Perchè allora si lavora facendo alzate olimpiche o si utilizza la linea verticale per fare rinforzo muscolare ad un calciatore se poi non la utilizza in quel modo?

Non ci sono prove scientifiche che il rinforzo sulla linea verticale, con un carico inferiore rispetto a quello che il giocatore sposta in dinamica e quindi funzionale al movimento sportivo, mi permetta di prevenire anche un solo infortunio.

Perchè si lavora in questo modo allora? Ribadiamo, la potenza che esprimo (forza x velocità) è sempre minore rispetto a quella espressa in un cambio di direzione. Se aumento il peso diminuisce la velocità dell’esercizio, per aumentare la velocità dell’esercizio devo diminuire il peso, il prodotto (potenza) non cambia.

Il nostro obiettivo deve essere quello di allenare e rinforzare i miei giocatori, con finalità preventive, in un movimento che è molto più funzionale e simile, per forza espressa e per velocità espressa, a quelle che sviluppo nel gioco.

La domanda è: il cambio di direzione è più o meno funzionale di uno squat con bilanciere a 80 Kg? La risposta è si, è più funzionale! Manca ancora qualcosa però.

Se seguiamo il ragionamento fatto, dovremmo allenare i nostri giocatori facendo fare loro i cambi di direzione. Cosa manca ancora in questo tipo di allenamento sebbene sia migliore del lavoro di squat con il bilanciere?

Perchè ancora non ci basta?

Non ci basta perchè nei cambi di direzione siamo in assenza degli avversari, della palla, dei compagni in sintesi non siamo nella realtà del gioco.

Allora perchè faccio fare i cambi di direzione in cui il giocatore riesce a spostare 300 Kg alla velocità che gli occorre senza però avere quegli elementi che definiscono la situazione di gioco reale, se velocità e forza espressa, in presenza di questi elementi, sono le stesse! Qual’è il motivo, la ragione?

Non c’è nessuna ragione, o meglio, i cambi di direzione vengono fatti e si lavora con i bilancieri perchè semplificare è comodo, perchè semplificare crea certezze, perchè mettersi nelle condizioni di poter numerare le cose ci dà lavoro, crea lavoro e ci mantiene nella nostra comfort zone: Quanti Kg ha spostato Tizio, quanti Caio, quanti Sempronio, e lo stesso dicasi per le velocità di spostamento, la frequenza degli spostamenti e tutto ciò riferito alle diverse età del giocatore. Creo tabelle e per farlo serve gente che parli questa lingua e serve tanta gente che collabori per parlare questa lingua. La stessa cosa vale in riferimento ai cambi di direzione. È molto più semplice posizionare dei coni, facendo fare cinque cambi di direzione e chiedendo che vengano ripetuti x(ics) volte.

In questo modo li conto, posso rilevare la velocità a cui hanno corso, posso vedere quanto sono decrementate le velocità e quindi avere indicazioni sulla fatica periferica o centrale che si è generata, quindi chiedo loro la percezione dello sforzo prima e dopo l’esercizio ed infine comincio ad intabellare, fare numeri, creare database mettendomi nella condizione di semplificare un gioco, incasellarlo. Ho, come preparatore atletico, la sensazione di controllo che mi fa star bene. Posso, a questo punto, dire che quando si fanno i cambi di direzione succede così, quando faccio le alzate succede quest’altro, quando faccio i balzi o isometria altro ancora ecc…

Quando invece si è dentro un gioco sportivo come il calcio, tutto ciò non si può fare o meglio, si può fare, è stato fatto e si continua a fare osservando le partite, filmandole, facendone lo scout, osservando e misurando le potenze, le distanze, il numero di salti, di contrasti, il possesso palla, l’altezza del baricentro della squadra, quanti scatti e quale distanza si è percorso e via dicendo.

Tuttavia anche questa modalità di valutare il gioco semplifica perchè ho comunque sempre la necessità di interpretare i dati che raccolgo secondo quello che era il compito richiesto ed il suo esito che, giocoforza, passa anche da come l’avversario si è comportato.

Se non tengo conto di questi parametri nella mia osservazione non sarò mai nella condizione di avere delle certezze che mi permetteranno poi di allenare l’atleta in funzione della prevenzione e della, eventuale, riabilitazione.

Proviamo a spiegarci meglio con un esempio: Se il preparatore atletico non conosce la richiesta che l’allenatore fa ai giocatori coon il ruolo di “esterni” , può essere che, consultando i dati, li consideri sotto performanti quando in realtà sono stati funzionali a quanto richiesto in gara, dalla gara. Il preparatore atletico pertanto nelle sue valutazioni deve stare attento a non allontanarsi dalla realtà del gioco e da ciò che il gioco in termini di funzioni richiede al giocatore.

Quindi più mi allontano dal gioco, più mi allontano dalle condizioni funzionali determinate dal gioco nel lavoro di prevenzione.

Abbiamo fatto gli esempi del lavoro pliometrico, delle contrazioni elastiche, del lavoro isometrico, dei cambi di direzione, del bilanciere, tutti lontani, in maniera differente, dal gioco. Devo essere consapevole che tutto ciò non mi porti alcun beneficio. Non c’è nessuna dimostrazione scientifica che queste modalità di lavoro portino benefici.

L’ultima parte della lezione ha come tema competenza.

La vera competenza che dobbiamo allenare deve basarsi su un’altissima specializzazione dello sport in cui vogliamo lavorare. Se vogliamo lavorare nel calcio, dobbiamo studiare calcio. Non è sufficiente ottenere la laurea in Scienze Motorie, certo avremo le basi ma, se vogliamo eccellere, la materia va approfondita. Vale per il calcio così come altri sport: Se dovremo occuparci di coloro che fanno le arrampicate dovremo studiare l’arrampicata. Non basta sapere che una contrazione con l’elastico mi aumenta la resistenza se non so se in quel contesto è richiesto.

Se parliamo di uno sport di squadra che complessifica, perchè ci sono più elementi in gioco, non solo, devo parlare di una media di squadra e conoscere cosa quella squadra deve fare ma devo anche conoscere i compiti individuali dentro al compito gruppale. Ci sono pertanto diversi compiti e diverse funzioni dentro un compito e ogni singola funzione è dentro una funzione di gruppo di cui è necessario avere consapevolezza.

L’idea è che ogni giocatore, seguito magari da uno staff competente, debba conoscersi, avere un’altissima conoscenza della propria condizione di fitness, del proprio livello di performance, conoscersi il più profondamente possibile in termini muscolari, organici, nervosi, psicologici, emotivi, affettivi.

Aiutarlo o aiutarla ad avere un alto grado di performance e nel momento in cui è immerso nel compito, nel ruolo, nella funzione di squadra occorre ragionare su tutto questo insieme. Il lavoro di staff deve mettere nelle condizioni lo staff medesimo di ragionare su tutte quelle esercitazioni con la palla che mettano i giocatori nelle condizioni di risolvere dei compiti ad altissima intensità, in termini di forza e velocità, come detto sono già presenti nel gioco. Dovremo essere consapevoli che, via via che togliamo elementi, toglieremmo stimoli e togliendo stimoli elimineremmo aspetti propri della prevenzione.

La prevenzione, come è stato detto in apertura, ha la funzione di mettere a disposizione, per quel compito, quel giocatore.

Se pensiamo che gli sport in cui andremo a lavorare siano gli stessi rispetto a tre anni fa, siamo fregati! Nel momento in cui voi fate il percorso di studi, il calcio cambia, si modifica.

Dobbiamo uscire dall’idea che ciò che abbiamo imparato qualche mese fa debba per forza valere oggi o tra qualche mese. La materia va continuamente studiata, approfondita. Occorre avere un’idea di competenza dinamica. Il nostro apprendimento deve essere flessibile. Sentiamo una parola nuova, rincorriamola! Se vogliamo essere creativi, innovativi dobbiamo conoscere la materia, lo sport profondamente. Solo così saremo in grado di stravolgere, reinterpretare, sistemare, modificare, abbinare.

Per poter svolgere al meglio il nostro lavoro è necessario un altissimo grado di flessibilità, di adattabilità.

Non basta più studiare e poi praticare. Non funziona sempre così, non sempre c’è la teoria e poi la pratica, oppure il gesto facile e poi quello difficile. La competenza è cambiata ed è cambiato il modo di acquisire-apprendere competenza. La sperimentazione a volte anticipa la teorizzazione. Quello che è più complesso spesso può arrivare prima di ciò che è semplificato. Mettiamoci nella condizione di farvi delle domande perchè se tutto quello che ci raccontano ci sembra di saperlo già, c’è qualcosa che non va!

Siamo competenti quando riusciamo a utilizzare tutto quello che abbiamo imparato per risolvere situazioni che non necessariamente conosciamo già.

Il Prof non è riuscito, a causa del poco tempo a disposizione, a parlare di riabilitazione. Nei pochi minuti che restano si limita a portare l’esperienza di una riabilitazione vissuta con un giocatore professionista di serie A. L’atleta aveva subito una lesione del legamento crociato anteriore e, successivamente, dopo una riabilitazione poco fortunata, una frattura della rotula(detta anche frattura da cruscotto perchè è frequente negli incidenti stradali). L’ipotesi fatta dal Prof era che la ricostruzione del legamento crociato fatta utilizzando il tendine rotuleo, con una rotula leggermente fissurata all’apice(difetto congenito) e quindi più fragile, l’abbia ulteriormente indebolita, predisponendola alla rottura alla ripresa dell’attività.

Il giocatore ha dovuto abbandonare l’attività per due anni e mezzo tra l’altro con il contratto in scadenza e quindi in condizioni psico-emotive difficili.

Il Prof racconta di aver abbandonato le indicazioni dei libri perchè niente funzionava. Ha iniziato così a sperimentare attraverso il metodo lento: esprimere ripetizioni molto lente ( a cavallo tra il potenziamento classico e l’isometria). Dopo qualche tempo il giocatore cominciò a fare piccoli progressi e ad eseguire i primi movimenti senza accusare alcun dolore determinando così una condizione emotiva positiva. Cominciava a credere di poter rivedere il campo. Insieme hanno cominciato a crederci. A quel punto la società chiedeva di poter misurare oggettivamente la possibilità che il giocatore tornasse in campo e, soprattutto, voleva sapere se sarebbe tornato con la stessa efficienza di prima. Cominciarono così decine di test.

Al Prof però i risultati dei test non bastavano. Iniziò così a pensare ad alcune esercitazioni standardizzate (termine che non gli piace ma che può aver senso nel contesto riabilitativo) con la palla, con gradi crescenti di intensità, di durata, di spazi, di accelerazioni, di decelerazioni e di potenza metabolica espressa. Il riferimento che venne preso come obiettivo da raggiungere, erano i parametri individuali del giocatore in condizioni di salute, relativi alla gara. Chiaramente il fatto che il giocatore potesse compiere le scelte giuste nella partita sarebbe stato tutto da definire.

Su una base completamente empirica definirono tre livelli di intensità: bassa-media-alta. Il giocatore si allenava con la palla per un periodo definito fino ad arrivare alle cosiddette giornate test che consistevano nell’eseguire circuiti molto ben definiti partendo dal livello minimo del 45% per ciascuno dei parametri che erano stati rilevati quando il giocatore era nel pieno dell’attività.

Raggiunto lo step si passava a farlo lavorare su una % dei parametri maggiore (65%), per poi passare all’85% ed infine provare con il 100%. Il Prof mostra dei video delle esercitazioni cui venne sottoposto il giocatore. Il lavoro fatto con questo giocatore (si è trattato di un caso estremo) è servito per capire che con altri giocatori si sarebbero potuti saltare degli step perchè, proprio alla stregua dei ragionamenti fatti in precedenza, non necessariamente si deve seguire una progressione lineare.

Fu grazie all’osservazione di esercitazioni cui vennero sottoposti giocatori che avevano subito infortuni con stop di 15-20 giorni che si potè stabilire che quei giocatori potessero eseguire le esercitazioni con la palla già ad un livello del 70% per ciascun parametro sempre riferito alla performance di gara.

Quando lo step non veniva superato si tornava indietro abbandonando la progressione lineare. Matteo sottolinea come il filmato venne realizzato proprio per essere utilizzato come mezzo di osservazione: non basta che il giocatore raggiunga il valore prestabilito dei parametri se poi si nota che lo stesso calci la palla tenendo la gamba rigida e con evidente paura.

Occorrono un’osservazione ed un indagine qualitativa che interpreti i dati. Se non avessero visto i filmati, nonostante i dati avessero dato riscontro positivo facendo accedere il giocatore allo step successivo, avrebbero commesso un errore.

Non dobbiamo aver paura di divergere con il nostro pensiero.

Occorre metterci in discussione e mettere in discussione le cose.

Ciò che cerca il mondo del lavoro è anche qualcuno che dia soluzioni mai viste.

BIO: Matteo Moranda

è Coordinatore e Responsabile di Dimensione SAGA, nonché uno dei creatori dei vari progetti del centro. È un preparatore atletico con una grande esperienza alle spalle. Dopo aver ottenuto una Laurea Magistrale in Scienza dello Sport a pieni voti, Matteo inizia un’importante carriera nel settore calcistico. Professionista riconosciuto dalla FIGC Coverciano, per tre stagioni è stato istruttore e coordinatore dei camp estivi dell’Atalanta, dove continuerà per cinque anni come preparatore atletico del Settore Giovanile e per altri cinque come preparatore e riatletizzatore della Prima Squadra in Serie A. In seguito è stato anche preparatore atletico nel Settore Giovanile AC Milan. Una significativa esperienza che ci permette di considerarlo un vero esperto del settore. Attualmente è Docente di “Calcio e Sport di Squadra” presso la Facoltà di Scienze Motorie Sport e Salute dell’Università degli studi di Milano. Nel 2021 ha intrapreso una nuova arricchente esperienza: IL DOTTORATO DI RICERCA EXECUTIVE IN SCIENZA DELL’ESERCIZIO FISICO E DELLO SPORT, proposto dall’Università Cattolica di Milano e dall’Università degli Studi di Milano, intitolato: “Essere allenatore sportivo oggi: competenze psicosociali e dispositivi formativi nel calcio.”. Questo progetto ha come obiettivo quello di operare una Ricerca Scientifica, avvalorata in ambito di Sport di Squadra, che approfondisca lo sviluppo di competenze fluide ed il loro trasferimento in un’ottica di promozione della Formazione del giovane sportivo. Proporre un modello di formazione innovativo ed inclusivo che sappia tener conto della continua modificazione dei contesti Sociali e Culturali. Nella vita lo contraddistingue la passione, con la quale guida il team di professionisti che ruota intorno a tutte le attività di Dimensione SAGA. Attualmente è Docente presso la Facoltà di Scienze Motorie Sport e Salute dell’Università degli studi di Milano.

2 risposte

  1. 2 domande
    1- La preparazione atletica (non solo la prevenzione e RIABILITATIVO) deve essere vicina a una partita di calcio?
    2- Vale anche nei settori giovanili

    1. Ciao Marco, se hai voglia e tempo prova a leggere la lezione 1 e la lezione 2, suddivisa in due parti, potresti trovare li le riflessioni che ti portano ad una risposta. Se così non fosse ti aspetto di nuovo nella chat. Buon wend.

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