EDUCARE IL TALENTO.

Storie di vita e idee caotiche. Storie di talenti illusori e reali.

Innatismo o Ambientalismo, Genetica o Pratica, Selezione o Educazione. Come ormai noto il nostro paese è avvolto da una mentalità endemica disfunzionale alla constante ricerca del conflitto. Una retorica infinita di contrapposizioni fondata sulla vocale “O” che divide, stacca, allontana e separa, invece di abbracciare una visione fondata sulla vocale “E” che come ci suggerisce l’analisi grammaticale, congiunge, unisce, aggrega, lega e associa. Cosi l’epoca del conflitto che ha travolto il nostro sistema calcistico dividendo per convenzione popolare i “Giochisti e i Risultatisti”, i “Teorici e i Pratici” e i “Situazionali e gli Analitici”, ha sopraffatto anche il mondo della ricerca scientifica e sportiva sul talento.

Ancora oggi le discussioni sul talento in ambiti universitari sono quotidiane.
Il dibattito psico-pedagogico tra “innatismo” e “ambientalismo” è trasversale in ogni sistema educativo sia esso sportivo o intellettuale.

Il dibattito attuale sul talento sportivo mette in evidenza l’insufficienza sia delle teorie che propendono totalmente per i fattori innati (legati alla predisposizione e alle caratteristiche fenotipiche della persona), sia di quelle che propendono per i fattori ambientali e sociali.

(Coutinho, Mesquita & Fonseca, 2016; Baker, Schorer & Wattie, 2018)

La volontà dunque è quella come sempre di provare a fare chiarezza, di provare a schiarire le nubi, non tanto “secondo me” ma, ricercando e affidandomi a fonti più autorevoli.
Provando ancora una volta a trasformare un approccio antropologico individualista in un approccio antropologico sistemico e relazionale.
Nella mia esperienza ormai più che decennale all’interno di settori giovanili dilettantistici e professionistici mi sono spesso sentito dire: “Il talento riconosce il talento”, “Il talento se deve emergere, emergerà in qualsiasi condizione e ambiente”. Ecco, come anticipato nell’articolo precedente https://www.filippogalli.com/wp-admin/post.php?post=5069&action=edit#:~:text=com/2023/07/-,13,-/talento%2Dcreativita%2Dabilita TALENTO: CREATIVITÀ, ABILITÀ E TECNICA l’influenza kantiana ormai mi ha totalmente persuaso, il dubbio e il senso critico sono piacevoli compagni di analisi e ricerca.
Cos’è il Talento? Chi identifica il Talento? È qualcosa di oggettivo o solamente soggettivo? Ma soprattutto, si può educare e allenare oppure è esclusivamente questione di genetica?

Le solite domande che arrivano da sole, e bussano alla porta della curiosità e dell’ambizione di comprendere, capire e di non accontentarsi delle risposte fragili che spesso il mondo calcistico ci offre.
È da questa fragilità che poi discende il forte desiderio di approfondire, di non sentirsi mai soddisfatti per ricercare, confrontarsi e comprendere ogni giorno un pezzettino in più che poi, quel piccolo pezzettino non fa altro che aprire e far dilagare altri pensieri e quesiti.

Il primo grande e antico enigma da risolvere tra Nature e Nurture – DNA e Ambiente è stato chiarito dalla Dott.ssa Daniela Lucangeli: “I progressi scientifici della biologia molecolare, ci hanno permesso di capire che i due elementi lavorano in modo complementare e sinergico per favorire oppure no, lo sviluppo del potenziale umano. Il DNA è stabile nel tempo, ma l’epigenoma cambia e si modifica in relazione alle informazioni proveniente dall’ambiente.”

Secondo questo nuovo modello di sviluppo ontogenetico, il DNA ha un ruolo prevalente nelle fasi iniziali di sviluppo, ma gradualmente diventa preponderante il ruolo dell’ambiente.
Siamo connettoma piuttosto che genoma, intendendo che la nostra individualità risiede nell’enorme diversità delle reti neurali che sono indotte dall’ambiente e dall’esperienza, piuttosto che dal DNA, quasi uguale in tutti noi.

Le più recenti ricerche dimostrano che il nostro genoma è aperto e interattivo nei confronti delle informazioni provenienti dall’ambiente.
(D. Lucangeli, 2022)

Compreso che il talento possa essere influenzato, educato e perfezionato dall’ambiente, proviamo a definirlo insieme, anche se a mio parere nessuna definizione potrà mai rivelarsi universale, ma da qualche parte dobbiamo pur partire. Proviamo anche a considerare l’ambiente nel suo significato e nella sua essenza.

Il talento, in un’unica parola, è identificabile come il potenziale di un individuo in merito ad una qualsiasi attività dipendente da molteplici variabili (comportamentali, psicologiche, sociologiche, morfologiche, fisiologiche e culturali). Solo, quindi, attraverso una complessa e sana interazione di questi costrutti diventa possibile l’acquisizione di un alto livello di expertise nello sport. (Singer & Janelle, 1999).

È un talento, colui che, sulla base di disposizioni, della disponibilità alla prestazione e delle possibilità che gli sono state offerte dall’ambiente nel quale vive, ottiene risultati prestativi superiori alla media della sua età, ma suscettibili di sviluppo. Tali risultati rappresentano il prodotto di un processo attivo di trasformazione pedagogicamente guidato e controllato intenzionalmente attraverso l’allenamento, che è orientato in modo determinato verso quell’elevato livello di prestazione sportiva che dovrà essere raggiunto successivamente. Per questa ragione, l’attitudine verso il talento deve essere il risultato di un processo attivo e dinamico, attraverso adeguate misure d’allenamento, della persona e della personalità dell’atleta. (Joch, 1992)

Esistono qualità innate ma non esistono competenze innate quest’ultime dovranno essere acquisite attraverso un’adeguata pratica. Il talento (genotipo) sara’ espresso (fenotipo) se una specifica ed adeguata pratica (pratica deliberata/gioco deliberato), sia in termini quantitativi (anni ed ore), sia in termini qualitativi (stimolo, coaching, ecc.), sarà eseguita. La quantità di pratica necessaria per il raggiungimento di un elevato livello di competenza si è tuttavia dimostrato essere «competenza-specifica» e «genotipo-specifica». (G. Schillaci, 2021)

La genetica mette i limiti, l’ambiente ha la capacità di spostarci verso il potenziale massimo o meno.
Maria Montessori agli inizi del ‘900 fu visionaria e comprese fin da subito l’importanza dell’ambiente nel processo di sviluppo.

E’ solamente grazie ad esso che ogni essere vivente è in grado di raggiungere la pienezza delle proprie capacità, definite dalla dottoressa “nebule”.

Per definire l’ambiente ci affidiamo principalmente per convenzione alle scienze umane, da un punto di vista terminologico e letterario ho sempre sostenuto che fossero le scienze che studiano l’essere umano a dover maggiormente influenzare gli ambienti sportivi.

Quando si parla di ambiente di apprendimento ci riferiamo alle esperienze globali della persona fin dagli inizi della sua evoluzione, siano esse intenzionali o non intenzionali poco importa, la persona si modella, si evolve, costruisce il proprio se’ e sviluppa le proprie capacità e abilità in relazione ai molteplici contesti e stimoli in cui viene esposta (famiglia, amici, scuola dell’infanzia ecc.).
Si parla quindi di educazione cosmica (M.Montessori) perché l’interconnessione e l’interdipendenza sono con ogni forma di vita, con tutti gli ecosistemi, tutti gli elementi e tutti i saperi che incontriamo nelle nostre esperienze di vita.
Se inizialmente è la famiglia a determinare maggiormente il nostro sviluppo, piano piano che ci specializziamo in qualcosa diventano sempre più determinanti altre figure.
Tornando nel nostro ambiente calcistico capiamo dunque come la figura dell’allenatore possa essere determinante nell’incremento e nel progresso del potenziale del talento, ma sappiamo anche che il giocatore, la persona non apprende solamente perché l’adulto fornisce semplicemente istruzioni e informazioni.
Fino agli anni ‘60 alla domanda: “Come apprende l’essere umano” si sarebbe potuto rispondere così: “Perché gli insegnanti insegnano”.
Si era convinti che la mente funzionasse come una macchina in grado di reagire ai vari input con precisi output.
Ovvero, l’insegnante stimola A e il discente risponde B.
Tutto semplice, lineare e uguale per tutti, il modello però presentava diverse criticità.
Perché spesso il giovane non imparava? Eppure l’insegnante aveva insegnato. Oggi sappiamo che questa visione non tiene conto della complessità dell’essere umano, né dei suoi reali meccanismi.
Tutto questo staccare, dividere e scomporre, è stato talmente pervasivo nel generare il metodo che ancora oggi si fatica ad evolversi.
Parliamo di una metodologia passivizzante che ingozza i giovani di informazioni e li giudica, in un ciclo continuo insegnante-informazione.

Ma anche un modello motivazionale ridotto a un determinismo cieco, in base alla quale tutti devono fare esattamente la stessa cosa, secondo l’autorità assoluta dell’insegnante o istruttore. (D. Lucangeli 2022)
Non è più sufficiente “saper fare” bisogna “saper far fare”, è necessario conoscere, costruirsi un sapere trasversale e multidisciplinare, è necessario per rispondere all’esigenza dell’essere umano di apprendere in autonomia, bisogna essere pronti ad accogliere la richiesta: “aiutami a fare da solo”.

L’allenatore è quindi, un attore cruciale nella creazione e modellazione dall’ambiente adeguato.

Uno studio dell’Università degli Studi di Roma “Foro Italico” – Il talento sportivo come sfida pedagogica, ha dimostrano come questa figura sia fondamentale per lo sviluppo del talento sportivo.
Il progetto “La Dual Career degli studenti-atleti nella scuola secondaria” (Migliorati, Maulini, Isidori, 2016a, 2016b) è stato implementato in fase sperimentale a partire dal 2016 presso l’Istituto Tecnico Tecnologico e Liceo Scientifico “B. Pascal” di Roma, in collaborazione con la “Stellazzurra Basketball Academy” e il gruppo di ricerca del Laboratorio di Pedagogia Generale dell’Università degli Studi “Foro Italico” di Roma.

La dual-career degli studenti-atleti nella scuola secondaria rappresenta un esempio di attuazione di un modello pedagogico olistico di preservazione e sviluppo del talento sportivo.
Come è noto il concetto di dual-career si riferisce alla combinazione della carriera sportiva con la dimensione formativa e/o lavorativa degli atleti (Geraniosova & Ronkainen, 2015).

Nell’anno scolastico 2017-2018 il progetto ha coinvolto tredici studenti-atleti (4 femmine e 9 maschi) con un’età compresa tra i 14 e i 16 anni; sono dodici cestisti della Stellazzurra Basketball Academy e un calciatore della Società Sportiva Lazio; quattro di loro frequentano il primo anno e i restanti nove il secondo del Liceo Scienze Applicate.

Abbiamo visto che secondo l’opinione della quasi totalità dei partecipanti il talento deve essere allenato pur essendo considerato una dote innata. A questo proposito i dati riportano che tutti gli studenti atleti attribuiscono un ruolo “esclusivo” e decisivo all’allenatore/coach per lo sviluppo della propria “inclinazione” sportiva, così come emerge dal grafico:

L’educazione al talento è a mio avviso collocata nella trascendenza, protesa verso la possibilità di realizzare cambiamenti, di produrre maturazione, di trasformare e trasformarsi, perché quando si prova ad attuare un processo di aiuto e trasformazione si cambia sempre un po’ anche noi stessi. Presupposto fondamentale in questa relazione è la libertà di pensiero per entrambi i soggetti.

Perché in questo rapporto interumano nessuno può essere concepito separato dall’altro, deve sempre essere considerata la reciprocità di una relazione sistemica tra: allenatore-persona/giocatore e allenatore-squadra.

Questo rapporto asimmetrico ha come presupposto la differenza esperienziale, di conoscenze e la saggezza, insomma il patrimonio culturale della persona che educa, l’asimmetria si deve accompagnare a una simmetria sul piano esistenziale e umano (Iori,1988)

Ormai risulta essere determinante per l’allenatore una formazione metodologica multidisciplinare e un interesse concreto all’essere umano. Pertanto, in termini più strettamente tecnici, l’ipotesi di un modello pedagogico di interpretazione e sviluppo del talento sportivo può essere schematizzata in un sistema aperto nel quale, tempo (di apprendimento e perfezionamento), esperienza, esercizio costante e dedizione al compito, formazione e volontà di eccellere nella prestazione, rappresentano gli elementi del sistema in continua interazione.

Proprio da questa interazione emerge il talento sportivo, come una risultante che è sempre “qualcosa in più” delle singole parti che compongono il sistema stesso, come mostra la cosiddetta “teoria dell’emergentismo sistemico”.

Esso è pertanto il prodotto di una osmosi tra il sistema degli elementi interni e delle caratteristiche individuali e l’ambiente circostante nel quale il soggetto è inserito.
È necessario quindi che la formazione agisca favorendo questa osmosi per evitare il rischio di uno sviluppo unilaterale (Maulini, 2018) della forma dell’intelligenza umana a dispetto della sua pluralità.

Identificare e sviluppare il talento in giovane età dipende dalla soggettiva idea percepita di “talento” che può portare ad errori di valutazione, dato che il potenziale del talento non è un tratto stabile in tutto lo sviluppo dei giovani. (Emmonds S. et al., 2016)

L’obiettivo della selezione dei talenti è di riconoscere i giovani più promettenti per ricevere proposte di apprendimento superiori, ad esempio allenatori specializzati.
(Sieghartsleitner R. et al., 2019)

L’ambiente idoneo allo sviluppo e all’apprendimento ha quindi grandi potenzialità di connessione relazionale ed emozionale.
Entrando ancora maggiormente più in profondità del mestiere dell’allenatore, mi sono chiesto quanto il metodo specifico possa determinare nel percorso di un giocatore.
La letteratura delle scienze motorie ci suggerisce questa visione pratica;

Gioco Spontaneo:Attività ludica spontanea e non regolamentata avente come obiettivo unico il divertimento (momento ludico)

Gioco Deliberato: Attività sportiva praticata in forma volontaria ed informale avente come obiettivo primario il divertimento, senza supervisione di personale specializzato (gioco in strada od in cortile)

Pratica deliberata: Attività designata da personale specializzato avente come obiettivo il miglioramento dell’attuale livello prestativo. Richiede completa concentrazione e dedizione (allenamento sportivo)

Come nota personale amo definire anche una pratica deliberata specifica: GIOCO.
Da sempre nelle scienze pedagogiche si definisce il gioco come il “lavoro” del bambino, ma questo poco importa ora.

Gran parte degli studi convergono nello sviluppo del talento dividendolo in:

Volendo definire maggiormente l’incidenza del metodo ci affidiamo a quello che ci indicano nei loro studi; Macnamara BN et al., 2014, Macnamara BN et al., 2016, Schutte MN et al., 2016:

Questo dato ci mette prepotentemente al corrente che, il metodo non può più guardare altrove, ci responsabilizza verso un viscerale lavoro di ricerca ed evoluzione nel prenderci cura dell’ambiente adeguato per favorire le condizioni migliori dello sviluppo.

Purtroppo spesso sembra un lavoro controcorrente e controculturale, ma gli investimenti devono andare in questa direzione, verso una presa di coscienza dell’importanza dell’allenatore e verso la concreta continua ricerca ed implementazione della metodologia che deve accogliere la complessità dell’essere umano e del gioco, deve accogliere i dubbi e le mancanze perché le idee si muovono se lasciamo spazio alle criticità e grazie ad un apparente mancanza che possiamo muoverci ed evolverci, altrimenti tutto rimarrebbe fermo e statico.

Questo processo va fortemente alimentato perché non è un vuoto negativo, ma è una spinta verso il miglioramento continuo di noi stessi e degli altri.

L’allenatore quindi modula ambienti e crea contesti di apprendimento.
La cultura dominante ancora oggi e ahimè una cultura sull’insegnamento ripetitivo e meccanico non sull’apprendimento dell’essere umano, bisogna spostare fortemente e rapidamente l’attenzione sulla motivazione di apprendere e sulle emozioni.
Essere allenatori e formatori è un grande privilegio che comporta un enorme responsabilità, è necessario garantire le condizioni migliori per una crescita umana e sportiva, è una missione altamente impegnativa.
Prevede aspetti educativi, conoscenze, abilità metodologiche e creatività ma soprattutto attitudini comunicative, empatiche ed emozionali.
Spesso gli allenatori del calcio formativo dopo la qualifica acquisita non leggono più, perdono il valore della curiosità, si consumano nelle esigenze burocratiche dell’attività, così facendo mancano le capacità di preparare un ambiente pedagogicamente qualitativo, che oltre a sviluppare le abilità specifiche sia in grado di incrementare anche abilità trasversali.

Riassunto del riassunto; l’abilità dell’allenatore non risiede come spesso si sente dire nel costruire il giocatore, questo è un linguaggio industriale e meccanico, infatti si costruiscono le macchine.
Non risiede nell’ addestramento del giocatore, questo è un linguaggio bellico e animalesco, infatti si addestrano gli animali.

L’abilità e l’arte dell’allenatore risiedono nella capacità del saper tirar fuori le attitudini innate, risiede nella capacità di creare le condizioni adatte affinché i talenti possano germogliare e sbocciare nella loro pienezza.
È un processo organico non meccanico.

Non lontano da dove vivo c’è un posto chiamato Valle della Morte, è il posto più caldo ed arido dell’America e non cresce niente. Non cresce niente perché non piove, quindi Valle della Morte. Nell’ inverno del 2004 ha piovuto, sono caduti 17 cm di pioggia in poco tempo. Nella primavera del 2005 si è verificato un fenomeno, l’intera Valle della Morte è stata coperta di fiori. Questo ha provato che la Valle della Morte non è morta. È addormentata. Sotto la superficie sono sepolti i semi della possibilità che attendono le condizioni adattate per emergere, e per i sistemi organici se le condizioni sono quelle giuste, la vita è inevitabile. Succede sempre.

Ken Robinson, Educatore, Scrittore Britannico ed ex Insegnate Universitario di Educazione all’Arte.

BIO: Riccardo Catto

  • Papà di due meraviglie; Andrea e Vittoria.
  • Marito di un splendida donna; Carlotta
  • Laurea in scienze dell’educazione
  • Tesi; Apprendimento Pedagogico
  • Master in Pedagogia Montessoriana
  • – Fc Torino Calcio season 2023/2024 Head Coach U15
  • -Youth Sector OfK Ostersund Consultant since 2022
  • – Fc Juventus Head Coach U14 2021-2023
  • – Fc Juventus Assistent Coach U15 2018-2021 
  • – Fc Ivrea 1905 Head Coach U19 2016-2018

4 Responses

    1. Grazie Franco, credo che sia esattamente questo il valore della lettura e della ricerca, mettersi in discussione e far nascere nuovi dubbi per migliorarsi sempre.

  1. Grande Riccardo, non smetterò mai di dirlo in Italia servono persone come Mister Catto , che con un il mix di competenze e amore per il calcio, creano future generazioni di calciatori che faranno del nostro movimento calcistico un esempio di eccellenza, MA devono cambiare gli atteggiamenti, devono sparire i servilismi altrimenti il TALENTO di Riccardo non verrà mai sfruttato a dovere …..un abbastanza Ricky

    1. Ciao Gianni, grazie per la lettura e soprattutto grazie per il tuo commento.
      Sei stato troppo gentile con me, sono semplicemente un curioso con l’ambizione di andare in campo e dare tutto me stesso per i ragazzi.
      Sono però d’accordo con te che tante cose andrebbero migliorate.

      Voglio lasciarti un messaggio ottimista; ho piena fiducia in Filippo Galli e nelle persone come lui (non tante ma qualcuno l’ho conosciuta), che grazie alla sua esperienza da giocatore di altissimo livello, al suo vissuto menageriale lungimirante nel nostro settore, alla sua intelligenza e sensibilità, possa in qualche modo indirizzare nel giusto sentiero i pensieri e le azioni del sistema calcio giovanile.

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