“FIFA WOMEN’S WORLD CUP 2023” AL VIA: COSA DOBBIAMO ASPETTARCI DALLE AZZURRE E COME STA IL MOVIMENTO ITALIANO?

Quella che prenderà il via il prossimo 20 luglio in Australia e Nuova Zelanda sarà la decima edizione dei campionati del mondo di calcio al femminile.

Ne ha percorsa tanta di strada il movimento calcistico del gentil sesso dal 1991, anno in cui si giocò la prima edizione in territorio cinese, sì da sbarcare a 32 anni di distanza nel continente oceanico,  allergico di suo all’organizzazione di importanti eventi calcistici al maschile, ma teatro della Kermesse iridata delle prossime settimane.

A leggere i resoconti delle precedenti edizioni, il primo dato che salta agli occhi è il numero di vittorie conseguite dalla nazionale statunitense, ben quattro su nove edizioni, a riprova di un movimento all’avanguardia tanto nel numero delle giovani praticanti (soprattutto nel contesto universitario) che nella qualità delle protagoniste ad alto livello.

Gli appassionati a stelle e strisce, mai del tutto innamoratisi del soccer al maschile, nonostante svariati tentativi di incentivarne l’interesse a colpi di milioni di dollari, risultano particolarmente affascinati dal calcio femminile.

Non è un caso che nei campus universitari il numero delle calciatrici e delle compagini sia in continuo aumento oramai da quarant’anni con risultati di prim’ordine quanto ad interesse, audience e crescita economica.

C’è da giurare che il Team USA sarà la squadra da battere anche nell’ormai prossima edizione con Inghilterra, Germania, Spagna e Francia che proveranno ad interrompere un dominio tecnico che dura, oramai, dal 2015.

La novità dell’edizione 2023 risiede nell’aver allargato a 32 il numero di partecipanti alla fase finale.

Se il movimento in rosa sia già nella situazione di permettersi un tale numero di selezioni di livello non è al momento dato a sapersi. Di sicuro, l’apertura a contesti nuovi è uno dei punti cardine del football al femminile anche in considerazione del fatto che alcune delle nazionali più quotate non sono le stesse che, storicamente, sono considerate all’avanguardia in seno al contesto degli uomini.

Oltre ai citati risultati degli USA, l’albo d’oro del campionato del mondo riporta i nomi di Giappone e Norvegia tra le squadre vincitrici mentre potenze del calcio maschile come Argentina, Italia e Brasile mai si sono imposte.

Soprattutto il Brasile tende a sorprendere in negativo in considerazione delle tantissime  ragazze che affollano campetti e spiagge deliziando i passanti con palleggi, mosse, colpi di tacco e finezze varie ma che, nonostante un paese che spinge con passione  un elevato numero di campionesse dagli ingaggi importanti, non sempre riesce a far pesare sul campo la presunta superiorità delle sue protagoniste a dimostrazione, se ancora ve ne fosse bisogno, che il talento e la tecnica non sono sufficienti a garantire un collettivo performante.

Prepariamoci pertanto a seguire le sfide che andranno i scena in Australia ed in Nuova Zelanda.
Per l’occasione, saranno scomodati tra gli altri due impianti importanti, normalmente destinati al rugby, come l’Australia Stadium di Sidney (capienza 83.000 posti) e l’Eden Park di Auckland (capienza 50.000,00 posti) a cui si aggiungeranno stadi dalle dimensioni minori presso cui le compagini si daranno battaglia.

Dal punto di vista mediatico è giusto riconoscere come non vi sia stata quella corsa ad accaparrarsi i diritti televisivi della manifestazione che i risultati ottenuti durante l’edizione del 2019 lasciavano intravedere.

Le motivazioni in tal senso sono più d’una.

Limitandoci al contesto italiano, nelle ultime settimane la RAI, dopo un diniego iniziale e solo perché spinta da una parte della stampa sportiva, si è mossa per assicurarsi i diritti di alcune partite, tra cui ovviamente quelle delle nostra nazionale.

Si è trattato di una scelta quasi forzata, caratterizzata dalle difficoltà di recuperare l’investimento in termini di audience a causa di orari poco favorevoli per il pubblico italiano (le partite saranno spesso visibili nelle prime ore della mattinata) e di un rallentamento della crescita dell’interesse nei confronti del calcio femminile d’elite che, esploso durante i mondiali del 2019 grazie ai risultati delle azzurre (ed anche, è doveroso riconoscerlo, grazie ad una programmazione televisiva mai vista prima) si era consolidato nel biennio seguente prima di sedarsi  nelle ultime due stagioni.

Di sicuro due elementi hanno raffreddato l’entusiasmo.

In primis, il deludente europeo delle nostre azzurre che, nell’edizione del 2022, a cui erano arrivate sulla scia dei buoni risultati del precedente mondiale, hanno raccolto un solo punto in tre gare giocate contro Islanda, Belgio e Francia a fronte di una promozione pubblicitaria e di un’attesa che lasciava presagire ben altri risultati.

In seconda battuta, l’uscita del campionato di serie A femminile dai palinsesti delle emittenti prettamente sportive, Sky su tutte, che nel biennio 2019-2021 aveva investito in maniera importante sul calcio in rosa.

Né l’auspicato (forse troppo) riconosciuto status di professioniste alle calciatrici della massime serie potrà, ad avviso di chi scrive, colmare le lacune del movimento.

Anzi, vi è un rischio, nemmeno troppo calcolato, che una volta spirato il termine triennale di “defiscalizzazione” concesso ai club, il professionismo possa risultare un’arma a doppio taglio.

Lungi da chi scrive negare il sacrosanto diritto alla parità di genere (e di trattamento), non si può non notare come, soprattutto a livello strutturale, il calcio femminile di casa nostra non appaia in alcuni casi attrezzato a fini professionistici.

Escludendo poche eccezioni, capita tutt’oggi di assistere a gare di serie A giocate in impianti paragonabili a quelli dei campionati dilettantistici del calcio al maschile nei dintorni dei quali dietro alla linea di fondo si scorge il traffico presente nelle strade.


A ciò si aggiunga un’oggettiva difficoltà nell’introitare risorse e una presenza sugli spalti che, pur in leggero aumento, risulta ancora lontana rispetto a quella propria di uno sport di comprovato livello professionistico.

Da ultimo non dev’essere tralasciato un ulteriore aspetto ovvero la capacità attrattiva dello spettacolo proposto.

In tal senso il calcio femminile di casa nostra sconta  due ulteriori  ordine di problemi. Il primo è dovuto al fatto che essendo gli italiani un popolo di appassionati essi tendono a confrontare il gesto tecnico, agonistico e atletico delle ragazze con quello che sono abituati a veder da parte degli uomini con l’effetto di porre a confronto le differenti capacità prestazionali.

E’ un errore da non compiere se  ci si vuole approcciare correttamente al calcio femminile.

Vi sono, è vero, delle discipline in cui la sperequazione tra maschi e donne può risultare meno dilatata ma il calcio, a differenza di altri sport, mantiene le stesse regole al maschile e al femminile.

Fateci caso:

Nella pallavolo la rete è più bassa per le donne.

Nella pallanuoto le donne giocano su un campo ridotto rispetto alle dimensioni dei maschi.
Nel calcio NO! E giocando su un campo di dimensioni importanti le differenze sono ancora più visibili.

In secondo luogo, non si è ancora formata una “cultura di calcio femminile” tale da far sì che l’opinione pubblica comprenda le sfaccettature, le peculiarità e le caratteristiche che il football delle ragazze porta con sé, rendendolo giocoforza diverso da quello che gli appassionati sono abituati a vedere.

Ad un’apparente decrescita di interesse a livello mediatico, fa il verso, tuttavia, l’incredibile e continua escalation nel calcio femminile nei settori giovanili.

Pare finalmente archiviata l’epoca, condita da concetti retrogradi ed anacronistici, in cui il calcio non era considerato “uno sport per le donne” o, peggio ancora, una ragazza che praticava il calcio veniva tacciata di esser poco femminile.

Dopo che nel triennio 2018-2021 si era contato un incremento del 13% di tesserate rispetto al  triennio precedente, da due anni a questa parte è in atto un vero boom di iscrizioni in seno alle società che prevedono tra le loro squadre una o più compagini al femminile.

Ed anche per le prossime stagioni le previsioni non fanno che confermare questo trend, iniziato a seguito del mondiale 2019 e non  più arrestatosi sino a diventare la tendenza sportiva del momento con buona pace di altre discipline sportive, storicamente “femminili”, costrette a patire la concorrenza del calcio.

Di questo passo le istituzioni federali saranno chiamate ad aumentare il numero di categorie presenti così come quello dei tornei di calcio femminile giovanile. Il tutto senza trascurare che  il continuo proliferare di squadre e di calciatrici provocherà problematiche di non poco conto in relazione alle strutture (campi e spogliatoi) che non potranno essere condivise con i colleghi maschi.

Entrando nel vivo della rassegna iridata, la nostra nazionale si appresta a scendere in campo (esordio il 24 luglio contro l’Argentina a Wellington) consapevole dell’importanza dell’evento a cui si approccia a seguito di un interminabile ritiro sotto la guida del CT Milena Bertolini.

In ossequio ad una recente tendenza, è stato scelto di portare inizialmente in ritiro 34 giocatrici per operare di volta in volta una serie di tagli sino a ridurre la lista alle 25 convocate per la competizione iridata.

La competizione interna ha mietuto vittime importanti se è vero che l’opera di sfoltimento della rosa ha escluso dalla rassegna prima lo storico capitano, Sara Gama, ed in seguito due nomi importanti come quelli di Valentia Bergamaschi e Martina Piemonte.

Ci sia consentito nutrire più di un dubbio in merito all’opportunità del suddetto sistema di scelte.
E’ opinione di chi scrive che alimentare la competizione interna possa spremere le energie psichiche delle atlete (o degli atleti) impegnate in una lotta intestina con l’effetto di rendere problematica la coesione del gruppo.

Senza considerare le difficoltà nella gestione del periodo di preparazione, dovute ad un  numero di calciatrici particolarmente elevato da allenare con le sequenziali problematiche connesse all’esecuzione delle esercitazioni e dell’allenamento situazionale da gestire con oltre 30 ragazze.

A ciò si aggiunga l’incertezza delle partecipanti all’evento sin tanto che non viene rese nota la lista delle convocate. Che senso può avere preparare le situazioni di gioco, le dinamiche di campo sino a quando non è noto sapere su quali giocatrici si potrà contare?

Un conto è chiamare uno o due elementi in più per approfondirne la condizione o per comprenderne l’eventuale adattamento all’idea di calcio che si vuol porre in essere. Altra cosa è costringere compagne di squadra a lottare tra loro con il rischio che coloro le quali troveranno posto nell’elenco definitivo arrivino alla manifestazione scariche dal punto di vista mentale, provate da giorni di tensione emotiva causa competizione interna.

Nettamente preferibile, ad avviso di chi scrive, sarebbe portare in ritiro un gruppo preventivamente definito con una riserva prestabilita per reparto pronta a subentrare in caso di defezioni dell’ultima ora.

Così facendo, il subentrante o la subentrante si troverà in una condizione estremamente positiva, provocata dall’imprevista convocazione, con l’effetto di risultare un’iniezione di positività per l’intero gruppo.

I meno giovani si ricorderanno di Boninsegna, chiamato all’ultimo in sostituzione di Anastasi e protagonista a Messico 70, o di altri casi recenti di calciatori arrivati all’ultimo e divenuti protagonisti a sorpresa come Perrotta al mondiale del 2006 o Pessina e Cristante all’Europeo 2021.

Detto delle esclusioni eccellenti, e del gruppo “sfoltito” con le modalità di cui sopra, parrebbe da una prima analisi che le avversarie toccate in sorte all’Italia (Svezia, Argentina e Sudafrica) non rappresentino ostacoli invalicabili e che la qualificazione al secondo turno sia alla portata delle nostre ragazze.

Non dev’esser dimenticato che nell’ultima edizione del mondiale, le azzurre del CT Bertolini sono giunte sino ai quarti di finale conseguendo il migliore risultato di sempre.

Ripetersi non sarà facile ma l’Italia ha il dovere di provarci.

Per riuscirvi dovrà cercare in tutti i modi di vincere il proprio girone.

Vero è che a superare il turno iniziale saranno  le prime due classificate di ogni raggruppamento ma un eventuale secondo posto porterebbe ad incontrare negli ottavi di finale la prima classificata del girone E che con ogni probabilità risponderà al nome della Germania.

Un eventuale incrocio con le tedesche risulterebbe un ostacolo quasi insormontabile per la compagine azzurra.

Sarà bene, pertanto, capitalizzare al meglio la prima fase del torneo che vedrà la nostra nazionale impegnata in terra neozelandese.

Di fondamentale importanza sarà l’incontro d’esordio con l’Argentina (24 luglio ore 8.00 italiane) a cui seguiranno le partite con Svezia (29 luglio ore 9.30 taliane) e Sudafrica (2 agosto ore 9.00 italiane).
Battere l’Albiceleste rappresenterebbe un viatico importante per la conquista del primo posto nel girone.

Prepariamoci, pertanto, a tifare per le nostre ragazze augurandoci che la loro presenza in terra oceanica possa perdurare più a lungo possibile pur nella consapevolezza, più volte ribadita, che non dev’essere il risultato sportivo a determinare i margini di crescita e di ascesa di un movimento ma tutto l’insieme delle componenti che caratterizzano la meravigliosa complessità del calcio.

Di sicuro, rispetto a quattro anni fa, ci saranno molte più calciatrici in erba a fare il tifo per le azzurre.

BIO: Alessio Rui è nato e vive a San Donà di Piave-VE ove svolge la professione di avvocato. Dal 2005 collabora con la Rivista “Giustizia Sportiva”, pubblicando saggi e commenti inerenti al diritto dello sport. Appassionato e studioso di tutte le discipline sportive, riconosce al calcio una forza divulgativa senza eguali. Auspica che tutti coloro che frequentano gli ambienti calcistici siano posti nella condizione di apprendere principi ed idee che, fatte proprie, possano contribuire ad una formazione basata su metodo e coerenza, senza mai risultare ostili al cambiamento.

2 Responses

  1. Un articolo ben fatto e soprattutto da far leggere a tutti coloro che sentenziano questo sport senza ne’ conoscerlo, nessuna volontà di seguirlo o addirittura senza mai aver visto una partita. Il calcio è di tutti! Bravo Alessio.

    1. Grazie Alessandro,
      Seguire lo sport è un diritto di noi tutti. Farlo tenendo conto delle peculiarità di ogni disciplina dovrebbe essere un dovere.
      Un saluto.
      Alessio

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