VOGLIAMO DAVVERO RIPARTIRE?

Le vittorie nelle competizioni europee o mondiali in ambito giovanile non sono indice della bontà di un movimento calcistico.

Non devo difendere nessuno ma, attaccare la Federazione, dopo l’uscita dal Campionato europeo U21 e la conseguente mancata qualificazione per le Olimpiadi di Parigi 2024, lascia il tempo che trova, disegna un quadro catastrofico eccessivo e non porta ad un dibattito costruttivo. 

In questi giorni si additano indiscriminatamente tutti coloro che sono ritenuti responsabili di un risultato sportivo che ha disatteso le aspettative.

Mister Paolo Nicolato, CT dell’U21, ha lasciato il proprio incarico e credo che il gesto vada sottolineato perchè ne dimostra, una volta di più, la caratura morale.

Pensiamo che le cose non stiano andando come dovrebbero andare? Lo avremmo pensato anche se ci fossimo qualificati al turno successivo? Se la risposta fosse NO, terminate qui la lettura, se invece fosse SI, proseguite!

Siamo sicuri che i responsabili siano solo gli altri? Non siamo forse tutti noi responsabili?

Per “tutti noi” intendo gli addetti ai lavori: dai direttori generali, a quelli tecnici e sportivi, dagli allenatori ai preparatori atletici e dei portirei, agli scout, video-analisti, psicologi, pedagogisti dello sport ecc…a cui aggiungerei anche giornalisti ed opinionisti, figure troppo importanti in una proposta “di sistema”.

Provo a spiegarmi, portando dei quesiti:

  • siete d’accordo che non sia la Federazione ad imporre ai tecnici di settore giovanile la vittoria ad ogni costo e la conseguente scelta di giovani calciatori fisicamente precoci da inserire nello schieramento iniziale perché ci aiuteranno ad ottenere il risultato, togliendo spazio ed esperienze a coloro che invece ancora faticano a portare il loro contributo spesso portatori di un talento ancora latente di cui tutti potremmo beneficiare in futuro?
  • non siamo forse noi che, ad ogni proposta di cambiamento, tecnico o metodologico, lo definiamo una moda oppure ci dichiariamo concordi salvo poi, sul campo, nella pratica giornaliera, tornare al conosciuto, alla comfort zone o, se preferite, al “si fa così perché si è sempre fatto così”?
  • non siamo forse noi che partecipiamo passivamente ai corsi di abilitazione, senza portare un pensiero critico?
  • non siamo sempre noi, che frequentiamo e ascoltiamo lezioni universitarie, in cui spesso si portano visioni sorpassate cui fanno seguito esercitazioni pratiche sul campo che non dovrebbero più trovare spazio?
  • Le domande sarebbero infinite.

Non possiamo pensare che i cambiamenti arrivino solo dall’alto. Il cambiamento muove dal basso, dagli allenatori, da chi ha davvero voglia di ascoltare, di approfondire e poi di portare sul campo una ventata d’aria nuova. Basta con gli alibi.

Non metto in discussione la necessità di avere una formazione più accessibile a tutti ma intanto, se davvero crediamo ad un cambiamento dobbiamo concentrarci su ciò che possiamo mettere in campo noi, non a quello che dovrebbero fare gli altri.

Cominciamo dal risultato: se davvero pensiamo che il risultato sia importante ma non sia tutto, se crediamo nel valore del processo che porta al risultato e non al risultato in sè, allora facciamo seguire al dichiarato l’agito.

Se vogliamo dare più valore al nostro movimento occorre un’azione simultanea che si muova dal basso verso l’alto e viceversa. Noi possiamo promuovere l’azione dal basso.

Faccio un po’ di “banalisi” (analisi banale) come dice il mio amico e collega Zanoli: ci vorrà tempo ma occorre garantire più spettacolo, più divertimento affinchè il nostro prodotto/servizio sia apprezzato e appetibile dalla gente, tifosi e appassionati, in Italia e sui mercati esteri e permetta ricavi importanti (diritti TV) che permettano ai Club di attirare, anche se oggi dovremmo dire, di trattenere i giocatori di talento. Ma, se non cominciamo dai settori giovanili, professionisti e dilettanti, resterà un proposito irrealizzabile.

Con maggiori ricavi potremmo investire sul territorio, perché è proprio nel territorio che i talenti vanno trovati ed educati. Per fare ciò occorre investire in formazione e strutture.

Per garantire più spettacolo occorre avere giocatori che conoscano e comprendano il gioco del calcio. Che mettano la loro creatività al servizio del gioco. La creatività non si allena, la si lascia libera (Juanma Lillo), in un contesto organizzato, ma libera. Creatività non è anarchia e stimolarla non significa lasciare il giocatore all’interno di un processo di apprendimento all’insegna del “fai sempre come vuoi” perchè sei più bravo degli altri. E qui dovremmo entrare e approfondire temi metodologici che spesso non trovano concordi neppure coloro che chiedono un cambiamento.

Allo stesso modo gli allenatori dovrebbero alimentare la bellezza corale del gioco, pensando prima ad un calcio che “costruisca”, che porti intraprendenza, coraggio, che pensi a giocatori pro-attivi e non solo ad un calcio che distrugga o pensi solo a limitare l’avversario. Un calcio in cui ragazzi e ragazze vivano il possesso palla come un’opportunità e non come una condanna.

Banalisi finita!

Verba movent, exempla trahunt dicevano i latini (le parole incitano, gli esempi trascinano).

Buon lavoro!

Filippo Galli e Alessio Rui.

8 Responses

  1. Ciao Filippo, sono d’accordo sul fatto che la “colpa ” sia di tutti e secondo me la Figc dovrebbe controllare davvero cosa succede a partire dai più piccoli. Da anni mi occupo di scuola calcio e adesso svolgo la mia attività in una società parrocchiale che ho iscritto per la prima volta alla Figc. Per quale motivo la Figc permette di selezionare i bambini dall’età della seconda elementare? Io quest’anno ho aderito al campionato 2014/15 con una squadra di 10 bambini 5 2014, 3 2015 e 2 2016…
    Per quale motivo quasi tutte le società le giocavano con 7/8 bambini solo dell’età più grande, (!che non è regolare ci vuole almeno uno più piccolo) selezionati e addirittura con l’inserimento di alcuni 2013? Perché a questa età è soprattutto in squadre non professioniste non si fanno giocare tutti i bambini? Io ho fatto un grosso lavoro l’anno precedente di giochi, impostazioni, ma soprattutto divertimento e cercare di fare comprendere che è un gioco di squadra, che esistono gli altri, che se uno è più in difficoltà ci si deve aiutare e non escluderlo. Siamo noi e solo noi quindi massimo impegno di tutti e la “partita ” era un “premio ” un bellissimo modo di potersi confrontare con altri bambini di altre realtà, di imparare nuove situazioni di gioco ma soprattutto imparare a gestire le nuove emozioni.
    Il mio “problema ” di quest’anno e stato di fare capire ai bambini “la marea di ingiustizie ” che abbiamo sperimentato durante i due campionati (invernale e primaverile) affrontare le paure di vedere schierati bambini ben più grandi e preparati e ben consci che non avrebbero dovuto esserci, di allenatori e dirigenti pronti a tutto per cercare di vincere la partita; e io a cercare di fargli trovare la giusta motivazione e tranquillità di giocare e in ogni caso di fargli capire che il loro impegno gli avrebbe comunque permesso di avere un’idea positiva di tutto quello che stavano facendo.
    Per fortuna il tempo è il lavoro ci ha permesso comunque di fare un’annata fantastica, oltre una più rosea aspettativa !!
    42 partite totali
    Vinte tutte le partite dei 2 campionati, amichevoli , con scuole calcio professioniste, perso solo con Juventus e Bologna
    E adesso su 10 bambini..
    4 al Piacenza Calcio
    2 richiesto da altre squadre che selezionano
    2 che non so se continuaranno perché da noi sono troppo grandi e non hanno i “requisiti ” per giocare nei 2014….
    1 2015 che non verrà preso da nessun altro ..
    Insomma rimango con 1 2016….😂
    Aiutoooooo 😂 Salutissimi e ti aspetto sul campetto per risalutarti dopo tanto tempo e farti due risate ciaooo Elena Santissimapc ASD

    1. Buongiorno Elena, capisco il tuo disagio e le tue difficoltà. Purtroppo quella di approfittare di alcune falle dei regolamenti è una cattiva abitudine ma credo che a te debba restare la soddisfazione di aver “giocato pulito”. Hai mai provato a porre queste domande ai tuoi colleghi?
      La gratificazione del tuo lavoro arriva dalla possibilità dei tuoi giovani calciatori di andare a fare un percorso che dovrebbe essere ancor più formativo. Solo il tempo ce lo dirà. Buon lavoro!

  2. Ciao Filippo, Ciao Alessio,

    scrivo solo due considerazioni scollegate:

    1) “imporre ai tecnici di settore giovanile la vittoria ad ogni costo e la conseguente scelta di giovani calciatori fisicamente precoci” – questa roba qui è terribile secondo me. Ma è una tendenza che abbiamo mutuato dal nord Europa (di solito molto più avanti ed organizzato di noi). Ne parlava già Bangsbo vent’anni fa nel suo libro (pur bellissimo)sul metodo integrato nella preparazione atletica del giovane calciatore. Bisogna ricordarsi sempre anche che Garrincha aveva una gamba più corta dell’altro, Zico era basso, con la gibbosi dorsale e le gambe storte, Rivaldo poliomilitico, Maradona, Puskas e Chinaglia ai limiti dell’obesità, tuttavia…
    2) avete letto il commento di Claudio Gentile di questi giorni? Secondo me è interessante, oltre che molto pesante.

    1. Ciao Giovanni, sfondi una porta aperta affermando che un giocatore non possa essere valutato solamente per la sua prestanza fisica. Se continueremo a mettere le capacità condizionali davanti alla comprensione del gioco sarà difficile trovare il bandolo della matassa.

  3. Parto dalla considerazione da voi fatta sulla creatività che condivido ed applaudo.
    “La creatività non si allena, la si lascia libera (Juanma Lillo), in un contesto organizzato, ma libera. Creatività non è anarchia e stimolarla non significa lasciare il giocatore all’interno di un processo di apprendimento all’insegna del “fai sempre come vuoi” perchè sei più bravo degli altri. ”
    Ma credo che questo concetto vada esteso in generale alle attitudini innate del calciatore. Direi massimizzare le attitudini individuali e minimizzare i difetti, sempre in un ambiente organizzato.

    Convengo anche sulla necessità di “alimentare la bellezza corale del gioco, pensando prima ad un calcio che “costruisca”, che porti intraprendenza, coraggio, che pensi a giocatori pro-attivi e non solo ad un calcio che distrugga o pensi solo a limitare l’avversario.”

    Solo parzialmente convengo sulla frase “Un calcio in cui ragazzi e ragazze vivano il possesso palla come un’opportunità e non come una condanna.”

    Mentre concordo che il possesso palla deve essere vissuto come opportunità, credo che anche il momento di “non possesso palla” debba essere vissuto come opportunità.
    Il possesso pala di per se stesso dice poco, se non finalizzato: ad addormentare la partita; ad impedire che la palla la giochino gli avversari; come fase preparatoria per, poi, finalizzarla alla rete.
    Quanto poi alle nazionali, credo che queste non possano rinunciare alla possibilità/necessità di vincere. Se sono forte sono poco De Cubertiano. Quelle vittorie quel vertice raggiunto fa crescere il movimento.
    Spetta alle scuole calcio e alle squadre dilettanti e professionistiche la necessità di far crescere i ragazzi. La nazionale può fornire loro solo esperienza internazionale, utile, soprattutto se lotti per vincere.

  4. Buongiorno Mister Galli mi permetto di esporre una domanda a mio modesto avviso SOLO apparentemente banale, qualunquista o provocatoria :
    PER QUALE MOTIVO È CONCESSO IL PERMESSO A TANTISSIME (PER NON DIRE QUASI TUTTE) LE SOCIETÀ DILETTANTISTICHE DI APPORRE LA SCRITTA “SCUOLA CALCIO” quando poi gli istruttori non hanno nessuna qualifica e ancora più grave nessuna competenza???
    Se il mio figliulo sceglie il liceo classico ad esempio, è scontato che i professori abbiano perlomeno affrontato e concluso un percorso universitario in caso contrario cosa si intende con il termine “SCUOLA” ???

    Grazie in anticipo e sempre tantissimi complimenti per la tua disponibilità ed eleganza nell’affrontare temi scomodi , condividendo totalmente l’opinione che ognuno di noi nel suo micro ambito quotidiano può e DEVE provare a cambiare il come accompagnare i nostri giovani a scoprire percorsi emozionanti anche se impegnativi che non prevedono scorciatoie

    Cordialmente saluto

    1. Buonasera Ottorino, capisco la tua lamentela ma, al di là della scritta che le società possono apporre all’esterno, credo che sia dovere dei genitori verificare quale percorso tecnico-formativo sia previsto dalla Scuola Calcio e chi porterà avanti tale percorso. La scuola calcio così come la scuola sono agenzie educative e ad entrambe va riconosciuta importanza nella scelta.
      Grazie per il tuo contributo.

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