EDUCAZIONE EMOZIONALE.

“C’è un solo angolo dell’universo che puoi esser certo di poter migliorare, e questo sei tu” (Aldous Huxley).

Questa frase del famoso filosofo e scrittore britannico, di sicuro avrà suscitato in voi una riflessione ed alcune emozioni positive o negative che dipendono da una serie di fattori.

Ma, che cosa sono le Emozioni? Da dove nascono?
Che cosa c’entrano con lo sport?

Chissà se mai vi siete posti queste domande, magari insieme a tante altre; domande alle quali non avete mai dato troppo peso e sono state messe lì, chiuse in un cassetto o in una nota sul cellulare con il proposito di approfondirle in un secondo momento, ma vuoi tutta una serie di motivi che vanno dal poco tempo alla poca voglia di approfondire, lì sono rimaste. Tranquilli, non sto giudicando nessuno, sono il primo che lo fa.

Se per voi va bene, proviamo ad aprire quel cassetto e soffiarci dentro per togliere un po’ di polvere (gli allergici usino un panno cattura-polvere per evitare di richiuderlo), adesso immaginiamo di essere piccoli, tanto piccoli da poter entrare dentro quel cassetto (oppure che sia il cassetto ad essere molto grande, ognuno ha la sua immaginazione, fate voi!) e proviamo ad addentrarci all’interno di questo emozionante argomento cercando di farci venire altri dubbi, perché come mi ha insegnato una persona cara, “la via verso la conoscenza è lastricata di infiniti dubbi” (cit.).

Facciamo un passo alla volta ed iniziamo dal definire le emozioni.

Secondo Wikipedia, le emozioni sono uno “stato psichico affettivo e momentaneo che consiste nella reazione opposta dall’organismo a percezioni o rappresentazioni che ne turbano l’equilibrio”.

Questa è una definizione.

Scrivo così perché quando parliamo di emozioni, come ci dice Lucas Malaisi, bisogna essere disposti ad accettare la polivalenza: un concetto può avere significati diversi a seconda del punto di vista dell’autore ed è importante rispettare le opinioni di tutti.

Tra le tante, quelle che personalmente preferisco sono due, la prima le definisce come “stati psicologici che forniscono informazioni ed energia esistenziale ed influenzano profondamente la prestazione personale” (L. Malaisi) e la seconda invece le definisce come “veicolo che unisce il conscio con l’inconscio” (E. Corbera), in sostanza ci forniscono informazioni su cose che hanno a che fare con tutta la nostra esistenza, passata, presente o futura (L. Malaisi).

A questo punto capiamo però da dove hanno origine e per far ciò dobbiamo chiedere aiuto ad un nostro collaboratore di cui spesso ci dimentichiamo l’esistenza solo perché è sempre con noi anche se un po’ nascosto, chiuso in una scatola: il CERVELLO.

Il cervello umano è un organo moooolto complesso, che pesa in media 1,4Kg, contiene un numero infinito di neuroni, cellule nervose che comunicano tra loro attraverso un assone che trasmette informazioni sotto forma di impulsi nervosi che vengono ricevuti dai dendriti (dal greco dendros, albero).

Ogni neurone può stabilire un numero elevatissimo di connessioni (sinapsi) con altri neuroni costituendo una serie di fitte reti neurali che elaborano le informazioni rapidamente e che compongono le diverse strutture cerebrali che lavorano insieme ma avranno funzioni specifiche.

La base neurologica dell’apprendimento sta in queste complesse comunicazioni fornite tramite impulsi elettrici all’interno del neurone e sostanze chimiche rilasciate tra i neuroni (neurotrasmettitori), come ad esempio la dopamina (motivazione a fare), serotonina (buon umore e ottima predisposizione all’apprendimento) e noradrenalina (favorisce distrazione e se troppo alta stimola comportamenti aggressivi).

Osservando l’anatomia invece, sappiamo che il cervello è diviso in due emisferi (destro e sinistro) ed ogni emisfero è diviso a sua volta in quattro lobi: occipitale, temporale, parietale e frontale.

Il lobo frontale, in particolare la corteccia pre-frontale (parte anteriore del lobo) è incaricata di svolgere le funzioni cognitive più complesse, tra cui la gestione delle emozioni.

Ad aiutarci in questo arduo compito gestionale, ci sono le competenze emotive che hanno bisogno di una pratica continua e che si sviluppano con l’Educazione Emozionale, materia ai più sconosciuta e che invece dovrebbe essere parte integrante del ciclo vitale di una persona, quindi dalla nascita alla ri-nascita e così via.

L’Educazione Emozionale non è altro che una risposta alle istanze (intese come necessità) sociali che non vengono sufficientemente soddisfatte e proprio per questo possono sfociare in comportamenti o disturbi come ansia, stress, depressione, violenza e molte altre; l’obiettivo dell’Educazione Emozionale è lo sviluppo di competenze emotive (intese come conoscenze, capacità, abilità ed attitudini), necessarie per comprendere, esprimere, gestire e regolare le emozioni per promuovere il benessere, prevenire il disagio e creare le condizioni affinché ciascun individuo sviluppi il massimo del suo potenziale. (Bisquerra R.)

In sostanza, sto bene, ti faccio stare bene, tutti stiamo bene.

Bello? si! Facile? No.

Purtroppo, per attuare questa rivoluzione gentile, come la chiama maestro Paolo Mai, ci vuole tempo, fiducia, costanza, amore ed empatia a catinelle. Ma se davvero lo vogliamo, se davvero vogliamo migliorare le condizioni di vita e il benessere dei nostri bambini, ma in primis il nostro, come le tartarughe, lente ma costanti, un passettino alla volta possiamo davvero fare qualcosa di importante.

Come dice mister Velasco in un suo intervento come mental coach, se prendiamo come esempio una squadra di calcio o di pallavolo o di basket e ogni componente della squadra fa un solo miglioramento, vuol dire che tutta la squadra migliora in 30, 15, 10 cose ed una squadra che migliora in così tante cose in una stagione, è un’altra squadra. Immaginate che noi siamo la squadra…

Ma cosa c’entra l’Educazione Emozionale con lo sport?

C’entra e come! Avete mai sentito parlare di approccio ecologico o ambiente di apprendimento ecologico (Bronfenbrenner)?

Questa teoria è stata introdotta dallo psicologo statunitense Urie Bronfenbrenner che per la prima volta osservò che l’ambiente in cui cresciamo influisce su tutti i piani della nostra vita e quindi anche le emozioni che proviamo.

Inoltre, a suffragare quanto detto fino a questo momento, ci vengono a supporto gli studi di psicopedagogia che ci dicono che l’apprendimento funziona meglio se associato ad emozioni positive, in quanto, quando apprendiamo una conoscenza o una competenza, non registriamo solo le abilità pratiche o teoriche ma anche le emozioni che accompagnano il processo di apprendimento (Bisquerra, Bueno, Lucangeli, per citare alcuni studiosi e professionisti che ogni giorno conducono questa ricerca).

Se le emozioni più diffuse nell’ambiente di apprendimento sono ansia, noia, vergogna o paura, esse si legano alla nostra esperienza di conoscenza con il risultato che, ogni volta che ci appresteremo ad ampliare il nostro sapere, quelle emozioni riemergeranno, per cui, capirete bene, che tutto questo non è certo di stimolo alla curiosità e alla passione.

Pensate invece ad un ambiente di apprendimento dove le relazioni interpersonali si basano sul confronto e la condivisione, dove c’è un continuo scambio di idee e le attività sono condivise e il tutto è racchiuso all’interno di ruoli definiti, dove il leader indica solo la strada, elogia in pubblico e corregge in privato, senza offendere e senza umiliare, permettendo a chi lo circonda di essere leader a sua volta, il tutto con regole che siano da tutti riconosciute.

Insomma, immaginate di riuscire a costruire un ambiente di apprendimento con un clima emozionale positivo, un luogo dove chiunque ne faccia parte si senta a proprio agio, si senta coinvolto nel raggiungimento dell’obiettivo prefissato e venga accolto e accompagnato in un percorso di crescita non giudicante, dove l’errore viene visto come parte integrante del processo di crescita e come frutto di una scelta consapevole, da parte di chi la effettua, fatta in base al momento e al contesto e quindi come tale accettato e utile come esperienza per il futuro, citando sempre una persona cara, “Colombo, sbagliando, ha scoperto l’America”.

E ora dite a voi stessi e siate sinceri, se avete immaginato davvero un ambiente così; non sarebbe bello se esistesse davvero e poterlo vivere tutti i giorni?

Vi assicuro che esiste e chiunque di noi può crearlo.

La prima cosa da fare e senza pensarci su è lavorare su noi stessi. Se non siamo noi per primi ad accettare l’importante ruolo delle emozioni, a regolarle e gestirle non potremo mai essere di aiuto agli altri.

Come mi sento? Perché mi sento così? Appena l’emozione emerge, positiva o negativa che sia, dobbiamo farci queste domande, entrare dentro all’emozione, capire da dove arriva e come mi fa sentire, capire che cosa mi provoca sia come pensieri che come sensazioni e sintomi, dobbiamo andare nel profondo di questa emozione per capire qual è il bisogno insoddisfatto che la genera e dopodiché accettarla e lasciarla andare evitando di generare una sequenza interminabile di pensieri giudicanti, il famoso ruminamento, che ci porta soltanto a trasformare l’emozione in stati d’ansia e a generare un conflitto sia con noi stessi che con chi ci sta intorno.

Secondo la psicologia positiva (M. Seligman) bisogna cercare di stare dentro al problema o alla crisi, esserne consapevoli e cercare il tesoro che comunque sta dentro a ciò che ci succede; questa interpretazione della realtà si divide in 3 fasi: personalizzazione (il ruolo che ho avuto nel fatto), permanenza (dimensione temporale) e pervasività (dimensione spaziale; ci sono altre cose oltre a quella accaduta).

Quanto descritto sopra ci permette di mettere a confronto le reazioni che abbiamo relative all’evento accaduto che possono essere di ottimismo o pessimismo e cioè il diritto ad essere felici o tristi, in altre

parole il modo in cui interpretiamo la realtà e a seconda di come la interpreto innesco emozioni positive o negative.

Inoltre e fa tutta la differenza del mondo, ricordiamoci che non si lavora per protocolli o assegnando etichette che poi rischiano di rimanere appiccicate per tutta la vita, non siamo qui per giudicare nessuno a partire da noi stessi, ogni individuo su questa terra è unico ed irripetibile e come tale va trattato, siamo composti da varie dimensioni (animica, sociale, cognitiva, emotiva, creativa, corporea) e di tutte queste dobbiamo prenderci cura, nel tempo e nel modo che la specificità e l’unicità di qualsiasi situazione impone, ognuno di noi ha il proprio carattere e temperamento che fa parte del nostro patrimonio genetico, orienta i nostri pensieri e comportamenti, ma non li determina. Il carattere di ciascuno di noi, come ci dice l’epigenetica, è diverso e viene costruito attraverso la relazione con l’ambiente esterno e le scelte individuali che compiamo e costituiranno il nostro sistema di idee e valori e di conseguenza la maturazione biologica del cervello, che essendo plastico, ci permette comunque di aggiustare la strada.

Riassumendo, carattere e temperamento fanno sì che ogni individuo sia unico ed inimitabile e quindi questo ci fa capire quanto sia importante rifuggire qualsiasi tipo di omologazione per valorizzare questa unicità che ci porta a dire che per educare dobbiamo ragionare in termini di possibilità e non di dovere organizzando gruppi partendo dall’interesse comune e non dall’età.

Parlando di unicità dobbiamo introdurre anche il concetto di autopoiesi (dal greco auto, da sé e poiesis, creazione) coniato da Maturana e Varela e definito da loro stessi nel loro libro così: “La nostra proposta è che gli esseri viventi si caratterizzano perché si riproducono continuamente da soli, il che indichiamo denominando l’organizzazione che li definisce organizzazione autopoietica”. Il bambino, in sostanza, contiene dentro di se già tutte le capacità per auto realizzarsi e lo fa in relazione con l’ambiente esterno, l’apprendimento, perciò, è quel processo in grado di produrre novità, infatti, come ci dicono ancora Maturana “quando fallisce un bambino, non sta fallendo il bambino ma l’ambiente intorno a lui”. Per questo è importante, affinché il tesoro nascosto o meglio il talento emergano in tutto il loro splendore adottare un approccio flessibile, aperto attraverso un approccio sistemico che sia focalizzato sulla fiducia, su un clima emotivo sereno, gioioso e ricco di emozioni piacevoli, di relazioni piene di amore, fiducia e reciprocità.

In sostanza e per concludere, anche se il tema è molto più ampio di come ve l’ho presentato, vi faccio una lista della spesa, con gli ingredienti che ci aiuteranno a comporre una sana Educazione Emozionale:

  • –  Lavoro su sé stessi (continuo e costante);
  • –  Lavoro con il gruppo di lavoro (formazione e supporto);
  • –  Lavoro con i genitori (formazione e supporto);
  • –  Lavoro con i bambini; o Osservazione; o Interazione; o Valutazione;
  • –  Tempo (ognuno ha il suo);
  • –  Unicità;
  • –  Complessità;
  • –  Autopoiesi;
  • –  Relazioni;
  • –  Spazio fisico;
  • –  Clima emotivo;
  • –  Metodo scientifico (dubbio e ricerca);
  • –  Obiettivo: BENESSERE (fisico, materiale, professionale, sociale ed EMOTIVO)

Grazie a tutti per aver letto fino alla fine e spero con questo articolo di aver suscitato in voi delle emozioni che abbiano alimentato dubbi e curiosità così che vi sia venuta voglia di approfondire questo meraviglioso mondo. “Perché dobbiamo imparare piangendo quello che possiamo imparare ridendo?” (G. Rodari) Viva la rivoluzione gentile, viva la Pedagogia Viva, Viva Emotional Sport. Sissepo’! Daje!

BIO: Gianni Parenti

  • 1981 all’anagrafe perché l’anima la sa molto più lunga, Ingegnere Civile, UEFA C, Match Analyst, Tutor di eventi in Educazione Emozionale (Emotional Sport Academy e Pedagogia Viva).
  • Allenatore, collaboratore e allievo AMC FOOTBALL ACADEMY, appassionato studente di calcio e non solo.
  • Grato alla vita, in cammino nella ricerca della libertà dell’anima.

3 risposte

  1. Caro Gianni . Che devo dire dopo una esposizione cosi’? Solo una cosa .
    La fortuna di lavorare con te nella stessa societa’. E approfondirla ancora di piu’..e imparare sempre di piu’.

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