ANIME PLAVE

I calci di rigore post-supplementari sono stati paragonati a giochi d’azzardo come la lotteria o la roulette russa. Niente di più sbagliato. In un rigore è racchiusa la perfetta sintesi, se non addirittura la quintessenza, del gioco del calcio. In un penalty ben calciato ci sono tecnica, precisione e autocontrollo, tutte doti fondamentali per diventare un calciatore di livello assoluto. Più che al caso, i rigori rimandano dunque a una sfida mentale e tecnica ad altissima intensità.

Per questo, se proprio vogliamo trovare una figura retorica capace di giustapporre l’epilogo dal dischetto a qualcos’altro, suggerisco di accostare i rigori risolutivi a un tie-break all’ultimo edecisivo set di un incontro di tennis. In entrambi i casi, dopo un match tiratissimo nel quale non è emerso né un vincitore né uno sconfitto, si decide il più bravo in un ultimo, estremo testa a testa nel quale a turno si batte e, sempre a turno, ci si difende dalla battuta dell’avversario. Dal buon o cattivo esito di un rigore, così come da quello di un tie-break, possono dipendere le sorti di una partita e di una carriera, ma, in alcuni casi, dalle loro conseguenze possono scaturire anche effetti capaci di ridefinire il destino di un intero Paese.

Lo sanno bene i plavi di Ivica Osim, i talenti — un po’ naïf e un po’ bohémien — della meravigliosa nazionale jugoslava che, dopo aver sfiorato la semifinale di Italia ’90, implosero, come il Paese che rappresentavano, sotto i colpi di una guerra civile che, secondo un’ipotesi molto suggestiva, se avessero vinto i Mondiali, il risorgere di un nazionalismo jugoslavista avrebbe forse potuto impedire. Le Sliding Doors che, secondo questa supposizione, cambiarono per sempre il futuro della penisola balcanica, si chiusero il 30 giugno 1990, nel pomeriggio in cui, davanti a 38.971 spettatori assiepati sugli spalti dello stadio di Firenze, la “Jugo”, nel primo quarto di finale della 14ª edizione del campionato mondiale di calcio, venne piegata (ma non spezzata) dall’Argentina di Diego Armando Maradona.

Nei giorni precedenti alla partita, era l’Albiceleste a godere del favore dei pronostici, in virtù del titolo conquistato quattro anni prima a Città del Messico. Ma a Montecatini Terme, sede del ritiro dei plavi, nessuno dei ragazzi dello Strauss di Grbavica credeva davvero alla possibilità di uscire anzitempo dal torneo. Questo perché l’Argentina aveva sì l’unico, vero D10S dell’undicesima arte, ma il più alto tasso di talento lo avevano proprio loro, i “brasiliani d’Europa” (come autorevoli testate chiamavano ormai da tempo i blu della federcalcio guidata da Tome Filipovski), i quali potevano contare sulla classe purissima di elementi del calibro di Robert Prosinečki, Safet Sušić, Dejan Savićević e Dragan Stojković, il fantasista — soprannominato Piksi in omaggio al topolino con il papillon azzurro ideato dalla Hanna-Barbera — che un anno e mezzo prima, in un epico doppio confronto di Coppa dei Campioni, aveva fatto rizzare pelo e coda al Diavolo di Berlusconi.

E poi c’era Tomislav Ivković, il portiere croato dello Sporting Lisbona che, solo qualche mese prima, nella sfida di Coppa Uefa che i Leões persero contro il Napoli ai rigori, si era reso protagonista di un singolare episodio: propose a Maradona di scommettere 100 dollari sul fatto che gli avrebbe parato il rigore, riuscendo effettivamente a neutralizzare il tiro e ad aggiudicarsi la posta! I primi minuti di quell’incontro giocato sotto il sole della Toscana evidenziarono tutta la malizia degli argentini e tutto il genio — a tratti sregolato — dei balcanici.

Il primo, decisivo colpo di scena arrivò al 30’, quando l’arbitro, lo svizzero Röthlisberger, in un eccesso di zelo sventolò sotto il naso di Šabanadžović un secondo, severo cartellino giallo. Ma l’uomo in meno non sconvolse minimamente i plavi, anzi. Per tutto il match furono soprattutto loro a tenere il pallone, sprecando l’impossibile con Jozić, Sušić e Savićević. L’Argentina, pur potendo contare sull’uomo in più, si limitò a contenere la manovra slava, arrivando dove voleva arrivare: ai rigori.

La tensione era così forte che Ivica Osim salutò tutti e rientrò negli spogliatoi senza neppure indicare i cinque tiratori. Il compito di scegliere i rigoristi toccò così ai senatori del gruppo, che puntarono su un quintetto composto da Stojković, Prosinečki, Savićević, Brnović e Hadžibegić. I successivi dieci minuti furono un turbinio di emozioni e imprecazioni. Ben cinque dei dieci rigori calciati furono falliti. Il primo errore d’autore fu di Stojković, che nel tentativo di spedire il pallone nell’angolino alto alla destra di Goycochea, centrò la traversa. Poco più tardi — dopo aver calciato il peggior rigore della sua vita — toccò a Maradona fare i conti con la frustrazione (Ivković, ancora una volta, aveva rimpicciolito il più grande di tutti). Stessa sorte toccò poi aTroglio e a Brnović. Tutto ciò, alla luce delle reti segnate da Serrizuela, Burruchaga, Prosinečki, Savićević e Dezotti, portò l’ultimo rigorista dei Plavi, Faruk Hadžibegić, di fronte all’obbligo di non poter sbagliare.

Nel tiro che partì dal suo piede destro c’erano la speranza e i moti d’orgoglio di un popolo la cui disgregazione era già stata avviata dal comizio che Slobodan Milošević tenne nella Piana dei Merli e dagli scontri allo stadio Maksimir di Zagabria, ma non c’erano né tecnica, né precisione, né autocontrollo. Va da sé che, senza queste imprescindibili peculiarità, il pallone poteva finire solo dove Goycochea aveva messo i guantoni. La “Jugo” era fuori dal Mondiale.

Anche se la Jugoslavia, come concetto e federazione serbo-montenegrina, sopravvisse fino al 2003, quella vista in Italia fu l’ultima, vera rappresentazione calcistica di un’entità statale capace, per più di settant’anni, di riunire sotto la stessa bandiera popolazioni diverse per etnie, tradizioni e religioni, ma accomunate da un diffuso sentimento di fratellanza slava.

Trecentosessanta giorni dopo il rigore sbagliato da Hadžibegić, con le proclamazioni d’indipendenza di Slovenia e Croazia, venne superato il punto di non ritorno verso la dissoluzione e l’inizio della guerra, la prima in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale.

L’ultimo successo della nazionale degli slavi del sud fu la qualificazione agli Europei del 1992, ottenuta sul campo ma cancellata a undici giorni dal fischio d’inizio per effetto di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Al posto dei plavi, in Svezia ci andò la Danimarca di Peter Schmeichel. Accadde poi che la “Danske Dynamite”, il 26 giugno, allo stadio Ullevi di Göteborg,superò 2-0 la Germania e si laureò campione d’Europa. Ma questa è già un’altra storia.

BIO: Davide Pollastri nasce a Monza il 26 marzo 1977.

Fin da giovanissimo manifesta un forte interesse per la lettura e talento per la scrittura.

Tra il 2000 e il 2004 alcuni suoi scritti vengono pubblicati da alcuni importanti quotidiani nazionali.

Nello stesso periodo inizia a fare musica e a farsi chiamare Seven, riuscendo a farsi apprezzare all’interno della scena Hip Hop Underground grazie allo stile scanzonato e all’originalità dei testi.

Nel 2014 scrive e stampa il suo primo romanzo dal titolo “L’Albero della Vanagloria”.

Nel 2016 con il racconto “L’Amore Assente” è tra i vincitori del concorso letterario Stampa Libri realizzato in collaborazione con Historica Edizioni.

Nel 2019 è tra i semifinalisti del “Cantatalento”-Festival di Arese. Sempre nel 2019 realizza alcuni video sulla storia della Juventus e apre su Facebook il Blog “Seven Racconta”; i racconti del Blog, dedicati a tutti quei calciatori capaci di farlo innamorare del “gioco più bello del mondo”, fanno breccia nel cuore di molti appassionati e riscuotono interesse. Alcuni degli ex calciatori protagonisti dei suoi racconti ringraziano pubblicamente Pollastri per le storie scritte su di loro.

Dal 2020 è ospite di importanti trasmissioni web-televisive tra cui ‘Signora Mia’, ‘Che Calcio Che Fa’ e ‘LeoTALK’, condotto dalla nota giornalista Valeria Ciardiello.

Nel 2021 è l’ideatore del programma web ‘Derby d’Italia-Una trasmissione pensata da chi ama il calcio per voi che amate il calcio’.

Sempre nel 2021 esce il suo secondo libro dal titolo “C’era una volta la Danimarca Campione d’Europa”.

Il 20 ottobre del 2021 appare in una puntata di ‘Guess My Age-indovina l’età’, il quiz show trasmesso da TV8 e condotto da Max Giusti.

Nel 2022 esce il suo terzo libro dal titolo “Maccheroni alla Trapattoni”. Dal 2023 collabora con ‘Monza Cuore Biancorosso’ e ‘Fatti Nostri’, un giornale indipendente online dedicato a tutti gli italiani che vivono nelle diverse parti del mondo.

Dal 2024, dopo aver frequentato la scuola di alta formazione per il calcio ‘Elite Football Center’, scrive anche per Sporteconomy.it, market leader nell’informazione applicata all’economia dello sport.

Una risposta

  1. Sono giorni questi di ricorrenze, più o meno cruciali, della storia dei Balcani. Princip, il Vidovdan e il rigore di Faruk. Articolo interessante, oltre che bello, che ricorda quello che poteva essere quella “Reprezentacija” che in Svezia probabilmente ci avrebbe fatto divertire. Hanno prevalso, credo naturalmente e giustamente, le forze centrifughe dei nazionalismi e così quel rigore sbagliato apre un ventaglio ampio di ipotesi. Sono legato a quella Nazionale, anche se ne sono per buona dose sentimentalmente compromesso, visto che mia moglie è belgradese.

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