MARCO GIAMPAOLO: UNO SGUARDO DIFFERENTE

FOTO DI COPERTINA DA FANPAGE

Puntuali come le rondini primaverili o, se preferite, come lo era una volta il Festivalbar con l’arrivo dell’estate, sono tornate le critiche nei confronti di Marco Giampaolo, incentivate dagli ultimi risutati negativi del suo Lecce.

I critici del “maestro” (definizione datagli, tra gli altri, da Sacchi nella convinzione di rendergli merito ma che, con il passare degli anni, si è rivelata un boomerang in quanto portatrice di un sarcasmo mai assopitosi nel tempo) sono rimasti in letargo durante il periodo autunnale ed invernale, prima di riemergere a seguito delle quattro sconfitte di fila che hanno minato il cammino di un Lecce ereditato, dopo dodici giornate, in piena lotta retrocessione e rimasto sempre al di sopra della quota salvezza dal momento in cui il tecnico pescarese lo ha preso in mano.

Il bottino di 17 punti in 12 gare (praticamente il doppio del predecessore), con cui i salentini sono riemersi dalle sabbie mobili sino ad affacciarsi alla “zona tranquilla” della classifica non aveva, per la verità, portato gli elogi che solitamente si sprecano in occasione di simili rimonte.

Era atteso al varco, Giampaolo.

Da una critica che, per quanto legittima, sembra godere nel contestargli situazioni ed inciampi che, quando capitano ad altri, vengono derubricati in maniera estramente morbida.

Sarebbe, tuttavia, riduttivo, oltre che incoerente rispetto agli gli intenti di questo blog, fermarsi ai risultati e alla circostanza secondo cui ad oggi il Lecce risulterebbe salvo a fronte di un parco giocatori non propriamente fenomenale, con tanto di cessione a gennaio del più quotato tra loro in ossequio ad una gestione del club che pone la questione contabile in cima alle proprie prerogative.

La figura di Giampaolo è da tempo bersaglio facile per una critica che, come detto, non lesina frecciatine sarcastiche nei confronti di un enfant prodige della panchina nonostante, in più di un’occasione, il suo lavoro sia stato apprezzato, quando non esaltato, da calciatori che pue non era solito schierare nell’undici titolare, alcuni dei quali dall’illustre passato.

Probabile che il suo continuo riferimento all’importanza del “giocare bene” gli giochi contro  in seno ad un contesto in cui l’aria della restaurazione tira sempre più forte ed è alimentata da una visione unilaterale degli eventi che porta a concedere le attenuanti nei confronti di alcuni e ad applicare le aggravanti nei confronti di altri.

Ma Giampaolo, che è “hombre vertical” tanto nelle idee che nei comportamenti, non se ne dispiace pubblicamente ed, anche quando ne avrebbe donde, mai si erge a “scienziato” come lo si vorrebbe far passare.

Pur apprezzando la proposta di un calcio dall’elevato livello estetico, è estremamente meticoloso nella fase di non possesso che deve basarsi, in primis, sul concetto di orientamento, ovvero l’attenzionare sempre e comuque la posizione della palla rispetto alla porta, ed, in secundis, sull’equidistanza tra i componenti della squadra.

Sul punto, nonostante la breve e sfortunata parentesi in rossonero, val le pena sottolineare come alcuni difensori di quel Milan ne tessano le lodi (cit. Corriere della Sera).

La sua proposta di calcio, a differenza di altri tecnici dalla matrice offensiva, non è caratterizzata dall’esasperata ricerca del possesso quanto, piuttosto, dalla capacità di dialogare e cercare le vie interne del campo grazie a combinazioni (codificate) “sullo stretto”, caratterizzate dalla pulizia tecnica e dalla velocità di esecuzione.

Chi lo critica pare dimenticare l’elevatissimo numero di calciatori a cui Giampaolo ha “trovato” la posizione, arretrandone la zona di riferimento, trasformandoli in tal modo da trequartisti (talvolta anarchici) in mezze ali di pura tecnica.

Zielinski e Paredes, reinventati rispettivamente mezzala e play in una delle più belle versioni dell’Empoli per estetica e sincronismi, rappresentano solo due esempi a cui si possono aggiungere altri nomi come Praet, diventato sotto la sua guida una delle mezze ali più complete della serie A, e Calhanoglu, per il cui impiego da regista si sprecano oggi complimenti dimenticando che il primo a proporlo con quella funzione fu proprio il vituperato Giampaolo.

La percentuale di giocatori migliorati è estremamente alta ma di questo si tende a non dare risalto nonostante i suddetti Zielinski e Paredes non avessero mai toccato in carriera i livelli raggiunti ad Empoli da cui spiccarono il volo verso il calcio che conta con una notevole valorizzazione economica per gli allora club di appartenenza (Roma ed Udinese).

Ragionamento analogo si potrà fare per i vari Shick, Torreira, Andersen caratterizzati da un altissimo rendimento nella Sampdoria per la gioia delle casse del club.

Ma è la proposta collettiva di gioco il punto di forza dell’allenatore abruzzese.

Il suo intento è quello di addizionare la squadra di un numero sempre maggiore di conoscenze collettive su cui lavorare e poter porre i singoli nella situazione di opzionare di volta in volta la scelta più adatta.

Quando l’intento è divenuto realtà, a beneficiarne è stata sia la classifica che l’occhio degli spettatori.

E’ quanto accaduto all’Ascoli tornato, dopo più di quindici anni, ad ottenere una promozione con sequenziale salvezza in serie A giocando un calcio estremamente gradevole.

Ai fasti marchigiani farà seguito un’esperienza a Siena durante la quale il livello di gioco risulterà tra i più apprezzati ed efficaci delle massima serie tanto da superare il record di punti e vittorie in serie A nella storia della compagine senese.

Il connubio tra anziani e giovani, particolarmente riuscito nella città del Palio, risulterà spesso un leitmotiv delle squadre allenate dal tecnico nativo di Bellinzona e, nonostante il lasso di tempo trascorso, quel gioiellino di squadra è tutt’oggi analizzato da esperti ed istruttori di calcio.

Seguirà una parentesi a Catania, conclusasi sì con un esonero ma con all’attivo 22 punti in 20 giornate che per una compagine che deve salvarsi pochi non sono, prima delle deludenti performances a Cesena e Brescia e della discesa in serie C.

La chiamata dell’Empoli, suggerita da Sarri che non ebbe dubbi nell’indicarlo come tecnico dalle idee brillanti più adatto di ogni altro nel continuarne l’opera in Toscana, gli aprirà le porte della Sampdoria con un magistero di tre anni andato oltre i risultati, comunque buoni, al punto da esser scelto dal Milan con cui il feeling, tuttavia, mai si instaurerà.

Dopo una sfortunata stagione al Toro, il ritorno alla Doria sarà provvidenziale per salvare la squadra blucerchiata all’epoca in caduta libera.

Una carriera, comune a molti allenatori, con alti e bassi dal punto di vista dei risultati

Quando si dibatte di Giampaolo, tuttavia, vi è la tendenza a sottolineare solo le annate negative.

Sul punto l’esperienza ci insegna che qualsiasi fatto può portare a valutazioni differenti se osservato da angolature diverse.

Ma, soprattutto, che le analisi basate sul pregiudizio rischiano di scontare un eccesso di superficialità.

In merito agli esoneri, nel caso di Giampaolo, ve ne sono alcuni che vanno contestualizzati. Quello di Siena, ad esempio, arriva dopo la stagione più gloriosa nella storia del club.

Non può essere rubricato come un esonero da fallimento dopo che, con Giampaolo alla guida, la società  ha toccato il suo apice.

Valesse questa denegata teoria, dovremmo affermare che Allegri, tanto per citare un tecnico caro a coloro i quali criticano Giampaolo, è stato esonerato dal Milan il che di per sè è vero ma non toglie valore all’esperienza in sè.

O che lo stesso Allegri, esonerato a Cagliari, ha fallito l’esperienza in Sardegna. Affermazione, questa, che rasenterebbe il ridicolo considerato l’ottimo anno e mezzo vissuto dai rossoblu  sotto la guida il tecnico livornese.

Nel caso di Giampaolo, quando si citano gli esoneri, ci si dimentica che quello patito alla Samp nel 2022 ha fatto seguito ad una salvezza quasi impossibile e che a Catania è stato cacciato con la squadra che vantava una media superiore ad un punto a partita che tradotto significa salvezza tranquilla.

Non è dal numero degli esoneri che si giudica un alllenatore.

Al tempo dell’assunzione al Milan, Stefano Pioli annoverava lo stesso numero di esoneri di Giampaolo eppure…

A nostro avviso, il valore di un allenatore lo si vede dalla coerenza delle idee, dal calcio che cerca di proporre, da come si rimodula nel corso del tempo senza venir meno ai principi alla base del suo credo. Poi di sicuro, il risultato incide nel giudizio ma il risultato dev’essere contestualizzato rispetto alle possibilità della squadra, oltre che valutato in seno ad un complesso di elementi.

Perchè nella vita, come nello sport, il contesto è dirimente.

Se spingo una persona facendola cadere a terra tre metri in avanti le provoco un danno.

Ma se spingo una persona facendola cadere a terra tre metri in avanti nel momento in cui dall’alto le sta piovendo un macigno in testa le salvo la vita.

Le circostanza vanno sempre analizzate nel loro insieme. E, talvolta, da un’angolatura diversa si percepisce una visione differente.

BIO: Alessio Rui è nato e vive a San Donà di Piave-VE ove svolge la professione di avvocato. Dal 2005 collabora con la Rivista “Giustizia Sportiva”, pubblicando saggi e commenti inerenti al diritto dello sport. Appassionato e studioso di tutte le discipline sportive, riconosce al calcio una forza divulgativa senza eguali. Auspica che tutti coloro che frequentano gli ambienti calcistici siano posti nella condizione di apprendere principi ed idee che, fatte proprie, possano contribuire ad una formazione basata su metodo e coerenza, senza mai risultare ostili al cambiamento.

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