Aeroporto di Genova.
Colori blucerchiati ovunque. Gente felice, che anche se non si era mai incontrata prima, si comporta come membri unitissimi di una stessa famiglia.
Lodon calling. Wembley, il tempio del calcio per antonomasia, ci aspetta. I ragazzi di Paolo, uomo unico e straordinario, ci stanno facendo, da molti anni, vivere un sogno incredibile.
Mentre, allora quattordicenne, mi avviavo al gate, negli occhi avevo chiara una immagine di una decina di anni prima. Anzi una sequenza di immagini.
Stadio Luigi Ferraris.
Credo fosse l’autunno del 1982. Avevo da poco compiuto cinque anni. Nelle domeniche in cui non era particolarmente freddo e non pioveva mio papà, Lorenzo, mi portava a vedere la Sampdoria. Per lui non era una squadra di calcio era una ragione di vita.
Avendo cinque anni, non è che capissi molto e non ero sempre molto attendo alla partita. Almeno così mi diceva papà, però poi accadde qualcosa.
Il numero nove fece un goal bellissimo. Folgorato. Quel 9 rispondeva al nome di Trevor Francis.
Ecco compiuto il rito. Da quel momento la Samp divenne anche per me fede. La fede l’hai nell’anima, non è razionale, non si può spiegare.
Inizio a chiedere la maglia della Samp. Allora il merchandising non era come oggi con gli store ufficiali, siti web, etc.
Papà aveva un amico che aveva un negozio di sport, che tutt’ora esiste e il figlio è diventato amico mio e per anni fornitore delle maglie delle squadre di futsal in cui ho giocato, oltre che fornitore delle mie scarpe da gioco prima e di quelle di mio figlio poi.
Gli procurò, non so come, una maglia della Samp NR in lana con il numero 9 cucito e lo sponsor Phonola sul petto. Una sera arrivando a casa mi disse: “te la manda Trevor”. Era enorme, mi faceva da saio avendo poco più di cinque anni, ma ci volli andare a dormire e lo feci per molte sere.
La indossavo anche la domenica quando la Samp giocava in trasferta, Non esisteva la pay tv e quindi ascoltavamo la partita su Radio Rai a “tutto il calcio minuto per minuto”. Sdraiato nel letto di mamma e papà con indosso la maglia di Trevor mi sentivo un supereroe.
Una domenica allo stadio però accadde un fatto che cambiò per sempre la mia vita.
Vidi fare un colpo geniale da colui che sarebbe diventato per me il “Dio del calcio”: Roberto Mancini. Folgorato sulla via di Damasco. Anzi meglio dire folgorato sulla via di Marassi.
Ero letteralmente impazzito per lui. In piazzetta, dove ogni giorno giocavo con gli amici, immaginavo sempre di essere lui. Provavo i suoi colpi di tacco, pezzo forte della casa. Roberto usava il tacco come un giocatore usa l’interno piede. Vedeva con secondi di anticipo le giocate e smarcava i compagni anticipando le mosse degli avversari. Ah, di tacco lui ci segnava anche, io non ci sono mai riuscito anche se ci ho provato spesso.
Ricordo come se fosse ieri la prima Coppa Italia. Ero allo stadio con papà e Giancarlo, uno dei suoi “fratelli”. Che gioia. Che brividi lo stadio. Che lacrime. Che emozioni.
Ancora adesso, mentre scrivo, ho gli occhi lucidi.
A fine partita, carosello per le vie della Superba, a bordo della Audi 80 color oro di Giancarlo.
Ad un certo punto mi disse “cosa fai dal finestrino, mettiti in piedi sul sedile ed esci dal tetto apribile”, Così feci. Che sballo. La città era impazzita.
Qualche mese dopo, mentre uscivo con mamma e papà da casa del mio amico Tommaso, a Nervi, incontrai proprio lui: Roberto Mancini. Papà lo fermò e mi presentò, spiegandogli chi e cosa fosse per me. Io lo guardavo come fosse il David di Michelangelo, occa aperta e sguardo fisso. Non riuscii quasi nemmeno a dire il mio nome. Non esistevano gli smartphone, quindi non esiste, purtroppo, una foto di una delle sere più della mia vita.
Non lo incontrai di persona mai più. E ancora oggi, a distanza di più di quarant’anni, spero di poterlo conoscere.
Mentre mi avvio verso il mio posto sull’aereo, dentro mi scorrono i ricordi.
Sto andando a vivere una emozione che non dimenticherò mai.
Purtroppo so, che a prescindere da come andrà, non vedrò mai più con la maglia della Samp il gemello di Roberto, quel Luca Vialli, che sarà e resterà per sempre, per noi, meglio di Pelè, perchè lo amiamo e lo adoriamo. Lo faremo per sempre, ovunque lui sia ora.
Arrivo a Londra, prendo un taxi e vado a fare un giro per la città.
Sciarpe blucerchiate ovunque, Siamo davvero tantissimi.
Poi l’arrivo a Wembley. Le torri, L’ingresso. La coreografia, I cori. Se chiudo gli occhi rivedo tutto in modo assolutamente nitido.
Gli dei giocano una grande partita. Un mezzo pallonetto di Luca termina fuori di millimetri, Gli sguardi si cercano. Le anime si incontrano. I cuori allineano il battito.
La partita volge al termine. Un arbitro scellerato, mi sono contenuto di molto con l’aggettivo, fischia un fallo inesistente a Gianni Invernizzi.
Cala il silenzio come se oltre trentamila persone sapessero che quella punizione avrebbe chiuso per sempre la “bella stagione”. Quel silenzio l’ho ancora addosso. Quel silenzio è, ancora oggi, una coltellata.
Quel silenzio e poi il boato catalano. Le lacrime che solcano il viso lasciando per sempre la loro traccia. Non erano lacrime di delusione o rabbia, come sarebbe giusto credere. Erano lacrime di ringraziamento, perchè arrivare a Wembley al termine di anni in giro per l’Italia e l’Europa a vincere e dominare, era già tantissimo. Ed erano lacrime per Luca, Fausto e Vuja che non avremmo più rivisto con indosso i colori magici che ci fan venire i brividi.
27 maggio 2023. Sampdoria – Sassuolo.
Siamo già retrocessi in B al termine di una stagione disastrosa. Soprattutto siamo a un passo dal fallimento.
Nel mentre, qualche anno prima papà Lorenzo o, come lo chiamavano gli amici, Zanin è volato in cielo. Da quindici anni sono diventato papà di Filippo, il nonno gli ha trasmesso l’imprinting, portandolo allo stadio praticamente già a due anni o forse meno e comprandogli qualsiasi cosa esista con i nostri colori. Risultato? Per Filippo la Sampdoria è una malattia.
Filippo mi chiede di andare in corteo prima della partita. Giù le mani dalla Sampdoria è il leitmotiv che ci accompagna ormai da mesi.
Ultimi con una manciata di punti. Retrocessi e quasi falliti.
Qualsiasi tifoseria sarebbe scomparsa. Noi no, come Presidente, dalla stagione precedente, in cui ci siamo miracolosamente salvati, è stato nominato Marco Lanna, uno degli Dei figli di Zeus Paolo.
Ci ha riportati tutti allo stadio. Ci ha ricompattato. Ci ha ricordato una frase che disse Paolo Mantovani: “Finché i tifosi della Sampdoria canteranno non ci saranno problemi per il futuro”.
Entriamo allo stadio: brividi! Stadio pieno, bandiere ovunque, canti da ogni settore.
Le stesse atmosfere le avevo vissute molti anni prima quando andavo a vedere la Coppa delle Coppe o la Coppa dei Campioni.
Differenza, sostanziale, che adesso eravamo retrocessi e quasi falliti.
Le lacrime rigano il volto. Esattamente come trentuno anni prima in quel di Londra.
È anche l’ultima volta che vedremo con la maglia della Sampdoria un uomo che è entrato nella storia, malgrado non abbia vissuto l’epopea di Mantovani, Vialli, Mancini, Lombardo, Cerezo, Lanna, Pagliuca, Mannini, Vierchowod, Bonetti, Invernizzi, ma che è stato capace, dimostrando vero amore per la maglia, oltre che con mezzi tecnici eccelsi e goal da antologia (il tacco volante al Napoli dovrebbe essere esposto agli Uffizi), di avere per sempre un posto nell’Olimpo cerchiato di Blu: Fabio Quagliarella.
Quel pomeriggio non era una finale. Non stavamo per alzare un trofeo.
Eppure sono convinto che valga come, forse di più, una delle tantissime notti magiche. Perchè in fondo cantare e gioire quando sei all’apice è “facile”, farlo quando stai quasi per sparire è quasi impossibile.
Il tifo blucerchiato ha dato la prima “lectio magistralis” di fede al mondo intero.
L’apice però, ha ancora da venire.
Allora la mente, libera, vola all’ultimo capolavoro di Papà Paolo, quando, malato e quasi alla fine del viaggio, decise di costruire l’ultima capolavoro. Una Samp incredibile, surreale, forse, tecnicamente, la più forte di sempre.
Sinisa, centrale con un piede fatato, David Platt, Jugovic, sua maestà Gullit e un uomo vero, Chicco Evani. Un uomo, milanista nel dna, che, però, si innamorò di questi colori, oltre a creare un legame fortissimo con Roberto Mancini e Attilio Lombardo.
Quella Samp diede spettacolo, regalò gioie immense, vinse una Coppa Italia, arrivò, senza Gullit, ad una ennesima finale di Coppa delle Coppe, sbalordendo, ancora una volta, l’Europa, per la sua bellezza.
Ecco, potrei definire il Regno di Paolo Mantovani (anche se la Coppa Italia e la semifinale europea vedono come Presidente il figlio Enrico) “la grande bellezza” prendendo a prestito il meraviglioso film di Paolo Sorrentino.
La Sampdoria verrà salvata dal fallimento da un duo Radrizzani – Manfredi. Inizialmente sarà il primo ad apparire come il deus ex machina dell’operazione, salvo poi sparire, per motivi ad oggi ignoti, dalla sera alla mattina e mettendo sotto i riflettori il solo Matteo Manfredi.
Personalmente ho sempre espresso le mie perplessità su questo Presidente e il tempo, purtroppo, mi ha dato tristemente ragione. Mai come questa volta avrei voluto sbagliare. Manfredi ha “desampdorianizzato” la Sampdoria, rendendola fredda e asettica.
Malgrado questo, in B, anche dopo aver fallito la A il primo anno e dopo aver visto il Presidente Marco Lanna lasciare la presidenza (vox populi vox dei, sbattendo la porta e confermando in me i cattivi presagi), il pubblico ha risposto con 23.000 abbonati, numeri vertiginosi anche per la maggior parte delle squadre di serie A.
La stagione è stata oltre il fallimentare. Tre allenatori, mercati sbagliati ma è stata, soprattutto, la mancanza di sampdorianità a creare il vero fallimento.
Nessuno e niente mi farà mai cambiare idea.
Ci si trova così a perdere a Spezia. La serie C, si, si, avete letto bene, la serie C ad un passo. Forse qualcosa meno di un passo.
Roberto Mancini allora palesa, ancora una volta, chi sia e cosa rappresenti sotto la lanterna di Genova: qualcosa che si avvicina molto a Dio.
Viene in soccorso della sua amata, non di Manfredi, sia chiaro ora e lo sia per sempre.
In una situazione disperata mette in panchina Chicco Evani e Attilio Lombardo e rimette suo figlio Andrea, esautorato l’estate prima (era troppo legato ai nostri colori e troppo bravo evidentemente), al suo posto di Direttore Sportivo. Restituisce a Gianni Invernizzi un ruolo importante.
La situazione è disperata. La Sampdoria è un malato con poche speranze di vita.
Eppure, uomini che hanno vinto tutto, portando anche, insieme a Luca, l’Italia sul tetto d’Europa un migliaio di giorni prima o poco più, decidono di prendersi cura della loro amata Sampdoria,
L’amore a parole vale zero. L’amore di dimostra con i fatti. Lo penso da sempre. Questa ne è una fulgida testimonianza.
Chissà com’è, adesso la domenica con lei! Dimmelo tu, che puoi sentire i brividi che dà! Dille che io, che io non l’ho tradita, che io non l’ho dimenticata mai! Ed è per questo che ritornerei…”
A Roberto, Chicco e Attilio quei brividi sono rimasti depositati, per sempre, nell’anima. Luca aveva il sogno di comprare la Sampdoria. Lo ribadì, come detto all’amico Massimo Mauro, anche quando stava per volare in cielo.
Chissà che, in qualche modo, non sia stato proprio Luca a dire a Roberto “adesso pensaci tu”.
Fatto sta che dalla partita successiva a quella con lo Spezia subentrano Chicco e Attilio. Una partita vitale, vinta con una girata di testa sotto la Sud di Sibilli e con quelle braccia al cielo di Attilio che mi hanno ricordato quell’abbraccio tra Roberto e Luca e nel contempo mi fece venire alla mente la prima cosa che disse Roberto in conferenza stampa dopo aver vinto l’Europeo, ossia che quella coppa era anche di Paolo e dei tifosi sampdoriani, che sul quel prato, trenta anni prima, versarono lacrime, fiumi di lacrime.
Si arriva così ad un Sampdoria – Salernitana. La Sampdoria ha quasi un piede e mezzo in C. Vincere non è importante è l’unica cosa che conta, diceva Boniperti. Personalmente non sono mai stato d’accordo con questa frase, ma in questa occasione vincere era la sola cosa che ci avrebbe permesso un minimo di speranza.
Una qualsiasi squadra sarebbe stata da mesi al centro di una feroce contestazione. Non cominciamo a dire, noi noi, noi, noi, noi, Basta vedere ciò che accade. Le parole le porta via il vento spazzate dai fatti. Noi siamo gli unici ad essere rimasti sempre ventique, ventiseimila allo stadio, anche in fondo alla B e sostenendo la squadra dal primo minuto all’ultimo del tempo di recupero.
Nelle orecchie ho il silenzio di Wembley e il boato catalano.
Negli occhi ho l’ultima partita di Roberto contro il Piacenza e lui che fa il giro di campo con il Boso che gli passa le maglie da regalare al pubblico e le lacrime sul suo volto.
Mi sto avviando con mio figlio a Marassi, non per una finale, Per la partita della vita.
Lui non ha mai visto una finale. Al massimo ha visto forse un incolore decimo posto.
Ha “gioito”, quello si, per il gioco spumeggiante del primo Giampaolo, dove alcune partte sono stare un godere estremo, ma il patos di una cavalcata verso qualcosa che consacra la storia non sa cosa sia. Eppure è, lo posso dire senza paura, molto più sampdoriano di me, che pur sono vissuto in funzione della Sampdoria.
Perchè, senza il forse, bensì con il certamente, è molto più semplice innamorarsi follemente di una squadra quando i primi giocatori che vedi sono Souness, Francis, Mancini, Vialli, Viercowod, Mannini, Scanziani, Lombardo, quando cresci e vedi Veron, Platt, Jugovic, Karambeu, Mihajolovic, Evani, Pagliuca, Ortega, Montella, Pazzini, Cassano e una infinità di altri campioni di livello mondiale che hanno vestito la nostra maglia, ma avere un amore come quello che ha Filippo che, Quagliarella escluso, da quando ha l’età per capire e assoporare a pieni polmoni il calcio ha visto la Sampdoria ogni anno andare in un lento declino, con salvezze tirate prima, la retrocessione poi, con un uomo con Ferrero a rappresentare la massima carica, con un fallimento praticamente certo, con una B complicata il primo anno, per arrivare al dramma che stiamo vivendo, Qui si entra davvero nelle fede, nel misticismo assoluto e allora non posso, vedendo l’amore e la sofferenza di Filippo per ogni sconfitta che pensare all’immenso Pier Paolo Pasolini: “Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci”.
Allora non posso non ripensare a suo nonno, mio padre, da cui questa fede ha avuto inizio, al nostro rapporto che tutta la vita ha visto rincorrersi complicazioni profonde e amore smisurato, ma che ha sempre trovato nella Sampdoria un terreno in cui, paradossalmente, si smetteva di combattersi e, a prescindere, eravamo un’unica cosa. Anche li, la fede per la maglia blucerchiata, creava un mondo nel mondo.
Mentre parcheggiavo l’auto in zona stadio, continuavo a vedere Filippo guardare la classifica, studiare il prossimo turno.
Vedevo sul suo volto quel misto di speranza e dramma che si alternavano come biglie impazzite.
Ripensavo a quando anche io alla sue età guardavo la classifica, non su di uno smartphone, ma sulla gazzetta e le partite su quei calendarietti tascabili. Io però non rischiavo la C, Io rischiavo di vedere uno scudetto, un terzo posto. Io stavo per toccare un sogno. Lui stava evitando un dramma.
La maglia è la stessa, ma la sua è davvero fede.
Arrivati allo stadio sono rimasto estasiato. Tutto esaurito, tutto colorato. Tutti in ogni settore, soldati volontari al servizio della maglia.
Questa volta non eravamo in attesa di un tacco del Mancio, di una acrobazia di Luca, di una sgroppata di Attilio, di uno Zar che annullava Van Basten e Maradona, di un Pagliuca che parava anche quello che gli umani non parano, di un missile di Sinisa, di un tiro di esterno di Veron. Questa volta le maglie non avevano volti.
Erano i tifosi gli unici depositari della fede insieme a Chicco e Attilio, che, sfortunatamente, non avrebbero giocato.
Lo stadio Ferraris era tirato a festa come stessimo per approdare ad un’altra finale di Champions. Eppure era l’esatto contrario.
Guardavo Filippo e la sua sofferenza, Ho ancora i brividi per l’esplosione dopo il goal. Emozione pura. Un goal che tiene viva una speranza.
Questo però passa in secondo piano. Perchè se fai il corteo e onori la maglia quando sei retrocesso, sei riempi uno stadio e sostieni una squadra pietosa quando stai per andare in C, allora hai la certezza che esista il sovrannaturale, che la fede sia qualcosa di esoterico. Ancora una volta sembrava proprio una signora vestita coi colori della sera una regina sotto i riflettori .
A prescindere da come finirà dovremo dire grazie a Chicco, Attilio e Roberto, perchè hanno dimostrato cosa vuol dire che ci lega un filo che ci porta dritto a Lei.

BIO: ALESSANDRO MAZZARELLO
Mi chiamo Alessandro Mazzarello, sono nato a Genova il tre agosto del 1977.
Sono laureato in giurisprudenza. Di professione, da quattro anni, sono un Docente Scolastico, dopo aver fatto per venti anni consulenza a privati ed imprese in campo finanziario e di strategie commerciali.
La mia vera e assoluta passione è, da sempre, il calcio. Per diciotto anni ho praticato il futsal a buoni livelli, dove ho avuto anche il doppio ruolo di allenatore – giocatore in serie C/1, perdendo la finale per l’accesso in serie B B con una piccola realtà e dove ho allenato inoltre la Rappresentativa Ligure, portandola, unica volta nella storia, alle semifinali nazionali.
Smesso di giocare, a trentacinque anni, in possesso della LICENZA UEFA B e LICENZA ALLENATORE CALCIO A 5, ho iniziato ad allenare nei settori giovanili, togliendomi, da subito, enormi soddisfazioni. Alcuni dei ragazzi che ho avuto la fortuna di allenare sono oggi dei professionisti o protagonisti assoluti nel campionato di serie D. Nei miei anni da allenatore ho avuto modo di iniziare a sperimentare la mia metodologia, un misto tra artigiano nel suo laboratorio e alchimista. La più bella esperienza quella come Responsabile Tecnico, dove ho appunto affinato quello che poi sarebbe diventato il mio presente e, ne sono certo, il mio futuro, il percorso di formazione e approfondimento metodologico con la AMC FOOTBALL ACADEMY.
AMC FOOTBALL ACADEMY nasce dopo il molto studio che ho parallelamente portato avanti alla sperimentazione sul campo e grazie anche ad importanti collaborazioni e constanti e continui confronti con importanti esperti del settore. Ho deciso di studiare la realtà del gioco e la sua costante e continua evoluzione, partendo sempre da perchè di un cosa.
Determinante la creazione della P&M COACHING e PM SOCCER LAB di cui sono co-founder insieme la collega mister Pasquale Palermo. Insieme abbiamo organizzato più di trenta incontri di formazione on line, con, adggi, oltre duecentomila visualizzazioni.
Sono sempre più convinto che possedere una LICENZA UEFA, quale essa sia, debba essere un punto di partenza e non di arrivo.
Costanti e aggiornamenti e approfondimenti sono la sola ed unica via per poter pensare di trasmettere delle conoscenze ai propri giocatori e alle proprie giocatrici.
Volersi sempre migliorare arricchendo il bagaglio delle conoscenze sia la sola ed unica strada per elevare il livello del proprio lavoro sul campo.