TONALI, L’ODISSEA DI UN FIGLIO ROSSONERO

In principio fu Sandrino Tonali. Non Pirlo, che al Milan si fece sole attorno al quale orbitavano i pianeti d’Europa. Parliamo dell’altro bresciano, di quello dai capelli scapigliati e il cipiglio introverso, cresciuto a pane, provincia e pallone. Uno sbarbatello che portava negli occhi l’orgoglio contadino e nelle gambe il ritmo antico del mediano in grado sia di interdire che di costruire.

Classe 2000, Sandro Tonali è arrivato al Milan non come salvatore della patria, ma come predestinato silenzioso, caricato da paragoni fastidiosi e ingenerosi: Pirlo, appunto, che invece era d’un’altra stoffa, tutta cesello e finezza. Tonali era più celtico e meno calligrafico, eppure dannatamente utile come il pane e l’acqua in trincea. Il suo avvio in rossonero è stato contraddistinto da un apprendistato che lo ha inevitabilmente esposto a critiche e a un ingeneroso scherno. Poi il centrocampista bresciano ha spiccato il volo.

Insieme a Kessié e Bennacer, il ragazzo ha costruito uno dei reparti nevralgici più forti del campionato poi vinto dalla squadra di Pioli. Tricolore conquistato dopo ben undici anni di castità. Tonali correva, ringhiava, si lanciava nei contrasti con la foga d’un ragazzo cresciuto sui campi spelacchiati della B, e difatti era così. Cartina tornasole di questa sua garra le ammonizioni: ben 9 in quel campionato. Calciatore duro, aggressivo, il cui impeto mai sfociava nella scorrettezza. Il gol contro la Lazio allo scadere, il tuffo sotto la curva all’Olimpico, il volto contratto in un urlo che sapeva di fede, rabbia e liberazione: quello è stato il suo manifesto, il suo apogeo nella Milano rossonera. Non di uno che voleva brillare da solista, ma di uno che voleva portare la squadra in braccio. Un Milan operaio e coriaceo, che si specchiava nei suoi ragazzi del Nord.

Nella stagione successiva i rossoneri non hanno ripetuto le performance dell’annata dello scudetto, nonostante il raggiungimento della semifinale di Champions. Poi in estate è arrivato il denaro, come in tutte le tragedie moderne. Tonali è stato venduto al Newcastle per una somma da nuovo millennio: quasi 80 milioni di euro. Quando ha lasciato il Milan, i cuori sono stati spezzati come vetri dopo la grandine, ma l’arcaica legge del calcio moderno impone sacrifici sull’altare del bilancio: se ami, vendi. E il Milan, sì, l’ha amato e venduto. Il Newcastle è squadra che fu un tempo nobile decaduta e che oggi, sostenuta da capitali a molti indigesti (compreso al sottoscritto), cerca di risorgere come l’araba fenice. E lì, tra nubi plumbee e stadi grondanti birra e cori, Tonali ha compiuto una metamorfosi degna d’un cavaliere errante.

L’inizio in Premier è stato scoppiettante. Geometrie tracciate col compasso del mediano sapiente. Pareva il Tardelli dei tempi d’oro, e qualcuno, da quelle parti, ha avuto l’ardire di paragonarlo a Roy Keane – ma con più garbo nei modi e nei muscoli. Come in ogni saga che si rispetti, è giunto il buio. L’ombra lunga del calcioscommesse, scandalo che puzza di bar del lunedì e di peccato acerbo. Il ragazzo è franato, e l’Inghilterra – poco incline alla pietas – gli ha stretto attorno le maglie del giudizio. Ma chi conosce il calcio sa che Tonali non è uno da baratro lungo. È cresciuto col fango sulle caviglie e sa cosa significhi rialzarsi senza troppa retorica.

Pur squalificato dalle competizioni ufficiali, Sandrino ha continuato ad allenarsi come un certosino del pallone. Eddie Howe, tecnico dei Magpies, ha capito che il cuore di Sandro batte per l’erba e per la squadra. E così ha iniziato a reinserirlo. Amichevoli, sessioni tattiche, corse su e giù per i campi gelidi d’Albione. E oggi, nel suo ritorno graduale, lo si vede già più tonico, più determinato, quasi liberato dal peso dell’attesa. I tifosi del Newcastle l’hanno adottato come si fa con quei figli caduti in errore, ma redenti. Lo applaudono, lo aspettano. Una volta tornato a regime, Sandrino si è affermato come la cerniera perfetta tra l’irruenza della Premier e il gusto raffinato della Serie A. Un raro centrocampista totale, capace di randellare e rifinire, pressare e pensare.

Nella Milano rossonera si discute ancora: era giusto vendere Sandrino? Alcuni, nostalgici del centrocampo dello scudetto, sventolano le immagini di Tonali, Bennacer e Kessié come reliquie d’un’epoca smarrita. Altri, più pratici, cantano le lodi degli acquisti possibili con quei milioni: Pulisic, Loftus-Cheek, Reijnders. Ma la verità, come sempre, si annida tra le pieghe del campo.

Il Milan senza Tonali ha smarrito il suo metronomo più selvaggio. E sebbene abbia alzato una Supercoppa – titolo nobile ma spesso effimero – ha deluso nei momenti che contano, smarrendo quella verticalità generosa e quel coraggio da lottatore che Sandro incarna. Tonali, dal canto suo, non ha ancora scritto il suo secondo tempo (d’altronde è appena un classe 2000). Questo secondo tempo si annuncia epico, come quelli dei grandi mediani che ritornano dopo l’inciampo. Newcastle lo aspetta. L’Italia, silenziosa, lo osserva. E lui, come un centauro antico, è rientrato in battaglia dalla porta principale.

Il tifo rossonero intanto si spacca. Da una parte chi rimpiange Tonali e maledice l’avidità, vedendo in quella cessione l’inizio del riflusso tecnico. Dall’altra i pragmatici, quelli che vedono nel suo addio la possibilità di rifondare. Fatto sta che Tonali è già diventato un ricordo intriso di rimpianto. Forse tornerà un giorno, forse no. Ma se tornerà, sarà più uomo e meno ragazzo.

In un tempo in cui il calcio brucia i suoi idoli come fossero sterpaglia, Tonali ci ha ricordato che si può cadere e rialzarsi. Che la fede, la fatica, la provincia e il dolore non sono accessori, ma ingredienti. E che, se il Milan davvero vuole tornare grande, dovrà trovare altri Tonali. E trovare un cuore rossonero di quel calibro, tenendolo a vita, o quasi, come alcuni mostri sacri degli anni sacchiani (Baresi, Costacurta, Maldini, Filippo Galli, Donadoni, etc), al giorno d’oggi rischia di essere mera utopia.

BIO: VINCENZO DI MASO

Traduttore e interprete con una spiccata passione per la narrazione sportiva. Arabista e anglista di formazione, si avvale della conoscenza delle lingue per cercare info per i suoi contributi.

Residente a Lisbona, sposato con Ana e papà di Leonardo. Torna frequentemente in Italia. 

Collaborazioni con Rivista Contrasti, Persemprecalcio, Zona Cesarini e Rispetta lo Sport.

Appassionato lettore di Galeano, Soriano, Brera e Minà. Utilizzatore (o abusatore?) di brerismi.

Sostenitore di un calcio etico e pulito, sognando utopisticamente che un giorno i componenti di due tifoserie rivali possano bere una birra insieme nel post-partita.

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