LA “BICICLETTA” DI VITO CHIMENTI

Quando alla fine degli anni 70 mi trasferii a Vergiate (anzi Sesona, ridente borgo nel nulla a pochi passi dal nulla), quattordicenne senza uno straccio di mezzo di trasporto, vivevo a circa due km da qualsiasi agglomerato urbano e da qualsiasi essere vivente. 


I miei, in un empito di protezione genitoriale (erano gli anni di piombo, eravamo benestanti, c’erano rapimenti a raffica e a Milano per ammazzare il tempo, e purtroppo non solo quello, la meglio gioventù aveva l’abitudine di sparare ad altezza d’uomo) avevano pensato bene fosse un ideona trasferirci armi e bagagli nella nostra, recentemente acquistata, residenza estiva, delle ridenti villette a schiera situate nel cuore di un brughiera impenetrabile. 
D’estate era pieno di ragazzini e ci si stava da papi. 
Al 30 di Agosto  mi sembrò invece di essere stato trasferito con il teletrasporto nel centro del Borneo. 
Vuoto pneumatico. 
Allora, per provare a rompere la monotonia delle mie lunghe giornate solitarie, mi ero costruito una molto artigianale porta tra due alberi e giocavo a pallone, spesso in assoluta solitudine. 
Un giorno vidi in tele il mitico Vito Chimenti (i social ai tempi erano al massimo il diminutivo di un partito politico che andava per la maggiore, specie a San Vittore). 
Faceva un numero pazzesco.  
La “bicicletta” (pallone tirato su con il tacco e che passava sulla testa per ricadere sui piedi in corsa).
Era irreale. L’avevo vista fare già una volta da Osvaldo Ardiles, fantastico giocatore argentino che, con i capelli azzimati e il lungo naso adunco, sembrava uscito da un dagherrotipo anni 20.
Questo invece era un signore attempato, con il riporto e la pancetta, che sfidava le leggi della fisica. Senza averne nemmeno il physique du rôle. 
Mi stregò. 
Per un estate (la prima estate, la più traumatica, quella in cui mi sentii a volte come il mitico Robinson Crusoe, al netto del fido Venerdì),  provai e riprovai a fare lo stesso numero per migliaia di volte (anche perché tirare in porta, se non c’è nessuno, alla lunga stanca). 
Alla fine mi riuscì davvero. 
Forse ricordate la storia strappalacrime per la quale non riuscii a giocare a pallone fino all’età di 14 anni e fino all’invenzione delle lenti a contatto morbide, con  conseguente ghettizzazione da parte dell’universo mondo su una panca di legno mentre gli altri giocavano. 
Quando riuscii, a costo di sforzi sovrumani a colmare parzialmente il gap con coetanei che avevano iniziato dieci anni prima di me (più che altro di fisico e menando come un fabbro, dote che ancora oggi a distanza di lustri distingue il mio tipo di gioco), venni cooptato, credo più per sfinimento, come fuoriquota, nella formazione giovanile della Sestese, mia nuova patria di adozione. 
Ogni prepartita, prima dell’inizio del match, entravo in  campo tipo Gattuso uscendo come una palla dagli spogliatoi e eseguivo l’unico numero che sapevo fare, frutto di tentativi infiniti, ricordo di un’estate solitaria ed adolescenziale passata in un bosco di conifere. 
Il pubblico sugli spalti assisteva al pezzo e mormorava rispettoso:
“Cazz questo è forte vero!”

Poi, l’arbitro fischiava. 
Scoccava la mezzanotte.
E la carrozza ritornava zucca. 

Quale è la morale di questa breve aneddoto (sur)reale?
A volte non basta saper eseguire il numero di Vito Chimenti per pensare di essere davvero Vito Chimenti. 

Ciao Vito. ❤️. 

Ivan

Ivan Frascaroli

Dirigente d’azienda. 

Scrive per diletto da una  decina d’anni. 

Ha pubblicato nel 2019 una raccolta di brevi racconti su Amazon “(NON) Volevo una vita come Steve McQueen”, legati come questo a brevi flash di vita o di costume. 

Appoggia da anni le iniziative della Onlus “Cuori in viaggio” che assiste due scuole a Kidoti a Zanzibar a cui vanno i proventi delle sue opere d’ingegno (!). 

Milanista sfegatato dai tempi di Milan-Cavese. 

Rossonero nell’anima.

9 Responses

  1. bellissimo.
    purtroppo quel calcio di giocatori con baffoni e la pancetta (Chimenti, Palanca i primi che mi vengono in mente) non c’è più

  2. Bellissimo pezzo, ancor più Il finale. Anch’io l’ho vista fare ad Ardiles ma solo nel film “Fuga per la Vittoria”…

  3. Sono più giovane di Vito e l’ho incrociato sia nei tornei estivi, quando aveva già smesso di giocare, che nel 2003 in un villaggio vacanze, con partitelle ogni pomeriggio. Gli ho visto fare in più di un’occasione la sua famosa bicicletta sulla linea di fondo del campo di calcio a 5, con tiro in porta prima che la palla toccasse terra!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Leggi anche