ONCE A MANCUNIAN ALWAYS A MANCUNIAN.

Introduzione

Quando si parla di Inghilterra il primo pensiero è naturalmente rivolto a Londra, la capitale. Una metropoli multietnica che raccoglie da anni giovani cervelli da tutto il mondo e non solo. Poi ci sono le altre: Liverpool, Birmingham, Manchester. E le altre sono bellissime e tipicamente britanniche.

Non a caso ho fatto il nome di queste tre città. Tutte caratterizzate dalla presenza di due squadre di calcio principali (Aston Villa e Birmingham, Liverpool ed Everton, United e City) e tutte storicamente città industriali popolate per la maggiore da gente della ‘working class’ ed oggi riconvertite in metropoli di cultura e turismo.

Città che hanno saputo aprire le proprie braccia al mondo e grazie ai flussi migratori, hanno accolto una diversità che da anni inevitabilmente attraversa l’isola di sua maestà, nella terra del football.

Manchester in particolare, il cui simbolo è un’ape, è stato un importantissimo distretto industriale, situato a nord ovest di Londra ed oggi è uno tra i più prestigiosi centri culturali dell’Inghilterra famoso per i suoi numerosi locali, musei, biblioteche, gruppi musicali e caratterizzato per una storia sportiva ricca di successi e sempre più ambiziosa.

Sebbene le squadre della città di Manchester siano in realtà tre, perché non possiamo dimenticarci la storia dell’F.C. United of Manchester, nato dalla scissione tra alcuni tifosi dello United dopo l’avvento della famiglia Glazer alla proprietà dei Red Devils, noi tutti ricordiamo solo il Manchester City ed il Manchester United (rigorosamente in ordine alfabetico) che oggi sono tra i principali e più ricchi club del mondo.

 Infatti durante le ultime settimane, si è fatto un gran parlare di questa realtà, principalmente perché lo United ha vinto la Coppa di Lega e raggiunto la finale di F.A. Cup, mentre il City ha vinto la Premier League e al tempo stesso ha raggiunto le finali di F.A. Cup e Champions League. Niente da fare: sembra dunque che ormai Manchester sia la capitale calcistica del calcio britannico ed Europeo.

Parte 1: la città e gli stadi

Per me, nato nei primi anni ‘80 e cresciuto a pane e Premier League (grazie a Tele+ e Sky) nel periodo in cui a farla da padrona a livello nazionale era la squadra di Sir Alex Ferguson, prima o poi sarebbe arrivato il momento di prendere un aereo e di visitare la città di Manchester, la città degli Oasis e dello ‘United’, la città delle grandi fabbriche inglesi.

Quel momento è arrivato (solo) nel 2022 quando armi e bagagli sono partito alla volta dell’isola, per l’ennesima volta, in compagnia di mia moglie. Arrivato all’aeroporto di Manchester sono stato catapultato immediatamente nell’atmosfera britannica che ogni volta mi scalda il cuore e mi fa tornare adolescente. Dall’aeroporto abbiamo preso il solito treno che abitualmente muove i turisti dagli aeroporti al centro città. Questa volta però ci ha portato fino alla stazione di Manchester Piccadilly e… dove sono?

Sceso dal treno mi sono ritrovato in una città inaspettatamente “strana”, quasi indecifrabile. A tratti sporca e brutta e a tratti una brutta copia di Londra. L’albergo prenotato, di cui non farò il nome, seppur in pieno centro, era anch’esso vecchio, sporco e popolato da gente “particolare” a dir poco. Siamo nel Northern Quarter all’angolo tra Back Piccadilly e Tib St. (potete verificare voi stessi di cosa sto parlando).

Devo essere onesto: all’inizio ero perplesso e disorientato. Non capivo se fossi finito in un posto a me ostile o se solo dovevo entrare nel mood cittadino. Ebbene: la risposta corretta era la seconda. A Manchester ci tornerei mille volte, anche subito, perché in quella città, così tipicamente inglese, si respirano tradizione e modernità allo stesso tempo.

Mercati, musei, negozi di musica, bellissime passeggiate lungo i canali che solcano la mappa cittadina e accompagnano sottotraccia le strade carrabili. Ristoranti etnici, Gay Village, centri commerciali e parchi circondati da piste ciclabili.

Vedi gente di ogni etnia e di tutte le estrazioni sociali mescolate in un unico grande “brodo” che ribolle nel cuore della città. Inoltre quella solita pioggia “shower” che ogni tanto ti sorprende, ma che tu conosci e accetti rassegnato, e quel freddino persistente che ti entra nelle scarpe e ti lascia i piedi intorpiditi fino a sera. Una città che ad ogni angolo ti sorprende.

Una mattina, proprio camminando senza una meta ben precisa, dopo aver deciso di imboccare un accesso pedonale che dalla trafficata strada ti portava al solitario e silenzioso canale, passando per un nuvolo di papere e pulcini che simpaticamente beccavano il terreno, mi sono imbattuto nello stadio dei “vicini rumorosi” del City: Etihad Stadium.

Senza preavviso, dopo una lunga passeggiata, ecco appunto una scalinata (9 scaloni) e girato l’angolo si arriva su una via dritta, larghissima, colorata di azzurro (Joe Mercer Way) che conduce, senza ostacolo alcuno, proprio di fronte ad una delle entrate di Etihad e più precisamente di fronte al negozio ufficiale del club da cui parte anche il tour guidato all’interno dello stadio e dell’impianto in generale.

Lo stadio a prima vista risulta enorme per i miei standard. Rotondo e circondato da un’area immensa adibita a parcheggio con la presenza di grandi “gate” ogni 100 metri circa. Ad ogni ingresso una statua celebrativa dei grandi giocatori vincenti del passato. Un passato troppo recente per i miei gusti: Aguero, Kompany, David Silva. Arrivati di fronte all’ingresso chiamato ‘Colin Bell Stand – West Reception’ una foto gigantesca celebrativa del titolo 2020/21.

Completando il tour esterno dello stadio riesco a intravedere un altro impianto, poco lontano da lì, circondato da molti altri verdi campi di calcio. Un bellissimo posto (scopro dopo che si tratta del Manchester City FC Training Ground) a pochi passi dallo stadio.

All’interno dello store ufficiale il “main them” del momento era (in quei giorni) la celebrazione del decimo anniversario del gol segnato dal Kun Aguero contro il QPR (su assist del nostro Mario Balotelli) nel 2012. Un gol incredibile che al minuto 93:20″ consegnò il primo titolo di Premier League ai ragazzi di Roberto Mancini dopo anni ed anni di attesa. Per me Roberto è come un “dio del calcio” quindi non posso che essere felice per quell’evento, anche se chi mi conosce sa che io sia un simpatizzante per lo United.

Uscito dall’impianto, mi reco in un vicino parco e faccio colazione. Tutto bello, tutto incredibile rispetto alle nostre realtà italiana, ma manca qualcosa. I miei occhi sono pieni di ammirazione e invidia per quella squadra fantastica, ma il mio cuore è vuoto. Torniamo a piedi in ‘Piccadilly Gardens’ per trascorrere il pomeriggio a zonzo per la città.

A riprova che Manchester ti regala sorprese ad ogni angolo, arrivato in St. Thomas Street, di fronte al NOTE Shop (negozio di skateboard), guardandomi intorno da buon turista spaesato, noto con la coda dell’occhio una troupe televisiva che opera delle riprese ad un volto a me noto: Juan Mata.

JUAN MATA (A SX) CON MATTEO CIGNA

Per un’incredibile coincidenza incontro “el mago” Mata, per strada, proprio nel giorno in cui sta girando per MUTV il video di “addio” al club. Lui ormai prossimo alla scadenza del contratto, dopo anni meravigliosi a Old Trafford ed in Inghilterra in generale, è pronto a salutare per passare al Galatasaray da svincolato. Un affare per i turchi, una grossa perdita per il calcio inglese. Con estrema timidezza avvicino una ragazza della troupe chiedendo se posso disturbarlo per una foto. Juan Mata accetta di buon grado e con estrema educazione e disponibilità mi concede una foto ricordo.

Mentre scattiamo la foto penso nella mia mente che quel ragazzo, mio coetaneo e simile a me fisicamente sia riuscito a vincere una Champions League ed un mondiale di calcio. Io nemmeno il torneo della parrocchia. La sua classe e la sua velocità di pensiero devono essere qualcosa di davvero mostruoso. Lo ringrazio e vado via con l’anima piena di entusiasmo, pronto a visitare Old Trafford il giorno seguente, perché Manchester ti regala sorprese ed emozioni ad ogni angolo.

Arriva la mattina successiva e con la prenotazione, fatta settimane prima, alla mano, mi preparo per il tour, per raggiungere il teatro dei sogni. L’impianto questa volta deve essere raggiunto con l’utilizzo dei mezzi pubblici, poiché il mitico Old Trafford dista circa 7km dal centro rimanendo esattamente dalla parte opposta di quello dei cugini: quartiere Old Trafford, zona Ovest della città.

Un tram, un treno ed eccoci arrivati alla stazione lungo Brian Statham Way. Inizia la camminata attraverso un quartiere tipicamente residenziale, caratterizzato da casette inglesi in mattoni rossi, qualche cantiere qua e là, molti bar e pub (al momento chiusi), un circolo di tifosi dello United che espone con orgoglio una foto celebrativa dei 50 anni dalla vittoria della Coppa dei Campioni sotto la guida del mitico Matt Busby.

Più ci si avvicina a Old Trafford e più gli stemmi e le foto dei giocatori aumentano.

Rooney ad esempio è ovunque. Da lontano inizio ad intravedere la copertura caratteristica di Old Trafford e una piazza (vuota) pronta ad accogliermi. Il tutto sotto la solita pioggia inglese incessante (ideale per giocare a calcio sull’erba). Vedo l’East Stand. Sono arrivato. Lo stadio sembra piccolo visto da fuori, anche se in realtà è il più capiente d’Inghilterra, dopo Wembley, ma è bellissimo. C’è tutto.

L’orologio che segna l’ora della tragedia di Monaco, la Statua della ‘United Trinity’ (Best, Law e Charlton), le statue di Sir Matt Busby e di Sir Alex Ferguson (mio idolo e modello di manager, anche se da qualche anno Carletto Ancelotti supera tutti di gran lunga).

LA TRINITY DI MANCHESTER: BEST, LAW E BOBBY CHARLTON

Qui l’emozione sale. Entro nella sala d’attesa per l’accesso al museo (25£ spese bene), vengo accolto da un ragazzo di origini italiane molto simpatico che mi illustra il tour e mi fornisce il pass d’ingresso.

Inizia la gita. Il museo trasuda storia e successi. Esposti in bacheca vedo dal vivo per la prima volta i trofei della Premier League, la F.A. Cup e soprattutto la Champions League: bellissima. Poi un elenco infinito di spazi dedicati ai giocatori iconici del club. Ad ogni spazio una scheda descrittiva, corredata da foto e cimelio commemorativo. Citandone solo alcuni mi imbatto in Cristiano Ronaldo, David Beckham, Norman, Jaap Stam, Denis Law, Peter Schmeichel, Nobby Stiles, George Best, Roy Keane (idolo), Eric Cantona, David De Gea, Wayne Rooney, Juan Mata, Micheal Carrick, Robin Van Persie e l’ex sampdoriano Juan Sebastian Veron (la brujita), ma potrei andare avanti per ore.

Terminato il tour del museo vengo accompagnato con un altro gruppo di visitatori, all’interno degli spogliatoi. Fantascienza. Addirittura due vasche per la terapia del freddo volute fortemente da Cristiano Ronaldo per ridurre i traumi e la stanchezza al termine di ogni match.

Old Trafford è un impianto bellissimo che ho sempre sognato di visitare. Ma la vera “chicca” arriva con l’ingresso in campo (vietato calpestare il prato c’è scritto).

Manto erboso prodotto da una ditta olandese e composto al 98% in erba vera e al 2% in sintetico, perfetto in ogni suo aspetto. Passando sotto la tribuna vengo accompagnato fino alle panchine dei giocatori che sono letteralmente immerse nel parterre dei tifosi. Arrivo e mi siedo esattamente lì, lì dove Sir Alex Ferguson si è seduto centinaia e più volte e inizio a guardare il campo, la tribuna, lo stadio.

Penso che su quel prato hanno giocato tra i più grandi campioni di sempre e che su quel prato è transitata l’eccellenza del calcio britannico ed europeo, tutti i miei eroi di quando ero ragazzino. Mi viene in mente (non so perché) il gol di Kakà nella semifinale d’andata di Champions League del 2007. Ed io in quel momento ero seduto lì a fantasticare su quanto sarebbe stato bello allenare il Manchester United. Ripeto. Le 25 sterline meglio spese della mia vita (finora).

Parte 2: Vicini rumorosi e dove trovarli

Ad ogni modo la storia cambia.

Il tempo, quell’elemento intangibile che in molti malediciamo tante volte semplicemente perché passa troppo in fretta, si rivela come sempre l’elemento più inclusivo e egualitario di tutti. Il tempo toglie ineluttabilmente, ma d’altra parte dà generosamente. Dipende sempre dai punti di vista e dal momento. Ed il tempo ancora una volta ha scombussolato le carte sul tavolo da gioco delle nostre vite e così dopo anni ed anni di supremazia United la storia ha subito una piega inaspettata. Nel 2009, evidentemente, Sir Alex Ferguson aveva già iniziato a fiutare il pericolo e così sotto pressione per l’ascesa dei Light Blues, durante un’intervista definì i “cugini” del City come “vicini rumorosi” e disse che l’unico modo per risolvere il problema era quello di “alzare il volume della TV e andare avanti con la propria vita, perché alla fine il rumore sarebbe terminato” esattamente come succede con i vicini fastidiosi. Eppure questo rumore dura ormai da molto tempo e sta addirittura attecchendo all’interno della città di Manchester. E allora mi chiedo: “ma non è che per una volta Sir Alex si sia sbagliato?”. Non lo sapremo fino a quando, come detto, sarà solo il tempo a dire chi aveva ragione e chi no. Come sempre.

Dunque Manchester, una città incredibile: da una parte abbiamo la storia, la tradizione e l’anima vincente dei Red Devils, mentre dall’altra abbiamo una realtà giovane, recente, fresca e costruita con i soldi, ma in modo sapiente. Eppure per anni il Manchester City, tolto un periodo vincente a cavallo tra gli anni 60 e 70, non è mai stato un colosso del calcio inglese, anzi è sempre stato nelle retrovie all’ombra dei rossi, tanto da non essere nemmeno considerato come un vero rivale dello United che negli anni ha preferito contendersi i trofei con Leeds United, Liverpool e in epoca “recente” anche con gli invincibili dell’Arsenal di Wenger ed i blues del Chelsea di Roman Abramovich.

Tuttavia il fenomenale Manchester City di epoca moderna, nato  grazie agli sceicchi e con il rischio di essere un prodotto commerciale, ha saputo affidarsi alle sapienti mani di dirigenti lungimiranti e preparati che a loro volta hanno investito molti capitali in giocatori e tecnici di primo livello. Con l’avvento di Roberto Mancini e la conquista dei primi trofei sono state poste le basi per il ciclo vincente di Joseph “Pep” Guardiola che negli ultimi 6 anni ha saputo creare una squadra bella e spettacolare, farcita di grandi campioni, alla quale ormai manca solo la conquista della “coppa dalle grandi orecchie”.

Dal canto suo il Manchester United dopo l’era Ferguson, seppur lunga e vincente, non ha saputo approfittare del vantaggio accumulato negli anni sui cugini, sbagliando la scelta di quasi tutti i tecnici post-Fergi e acquistando moltissimi giocatori che si sono poi rivelati non all’altezza della maglia.

Quest’ anno con l’avvento del tecnico olandese Erik Ten Hag e l’acquisto azzeccato di qualche giocatore funzionale al gioco del tecnico, il divario pare essersi ridotto un minimo, anche se (mio malgrado) la differenza c’è ancora e si vede parecchio. Dopo l’arrivo del fenomenale norvegese Erling Halaand che ha apportato gol e soluzioni alternative in attacco alla formazione di Guardiola solo l’Arsenal di Arteta si è mostrato all’altezza del City in una competizione dal lungo respiro come il campionato inglese. Ad ogni modo chissà quanto tempo ci vorrà per pareggiare i conti, considerando che il City ha saputo investire pesantemente anche sul settore giovanile e sulle sue strutture di allenamento, mettendo benzina di riserva nel serbatoio per il futuro prossimo.

Detto questo arriviamo al presente: giugno 2023. Dopo 141 anni di storia, per la prima volta, le due squadre di Manchester si affronteranno nella finalissima di quello che è ad oggi il trofeo calcistico più antico del pianeta: la F.A. Cup.

Per la precisione il 3 giugno a Londra, allo stadio di Wembley, si affronteranno le due compagini di Manchester per conquistare la coppa che per molti anni, in Inghilterra, è stata ben più ambita del campionato. Il bilancio dei derby di Manchester ad oggi è così distribuito: 189 partite, 78 vittorie dello United, 58 vittorie del City e 53 pareggi. E tutto sommato poteva essere peggiore viste le tradizioni delle due formazioni.

Il primo derby di campionato risale al 03.nov.1894 ad Hyde Road 2-5 per lo United e l’ultimo il 14.gen.2023 a Old Trafford 2-1 per lo United. Per le coppe (FA Cup e Coppa di Lega) il primo risale invece al 03.ott.1891 disputato presso il North Road 5-1 per lo United, mentre l’ultimo è stato disputato il 06.gen.2021 a Old Trafford 0-2 per il City.

Dunque, trattandosi di un derby possiamo dire che non ci siano favoriti. Il derby è sempre una partita a sé, aperta a qualsiasi risultato, specialmente se in ballo c’è un trofeo. Eppure il Manchester City, quello visto contro il Real Madrid, spaventa chiunque e seppur con la testa alla Champions League (ancora da disputare la finale contro l’Inter ad Istanbul) e dopo aver conquistato la Premier League, grazie anche al tracollo dell’Arsenal, sembra avere qualcosa in più.

Dal canto suo lo United, che ha già conquistato la Coppa di Lega, ha come obiettivo primario quello di impedire ai light blues di conquistare il così detto “treble” o triplete per i latini (vittoria di Premier League, Champions League ed F.A. Cup), così come fecero proprio l’Inter nel 2010 e lo stesso Manchester United qualche anno prima nella stagione 1998/99.

Nell’eventualità in cui il Manchester City riesca a realizzare il suo treble entrerebbe così nel ristretto novero di chi ce l’ha fatta almeno una volta ovvero sia: Barcellona, Bayern Monaco, Ajax, Inter, Real Madrid e come detto Manchester United.

A questo punto non ci resta che attendere il giorno della finale per poi goderci lo spettacolo che solo il calcio inglese e Wembley sanno offrire a tutti gli appassionati di football.

BIO Matteo Cigna: è nato a Genova, città nella quale ancora oggi vive, occupandosi quotidianamente di spedizioni marittime.

  • Le sue più grandi passioni sono il calcio e la scrittura, due mondi che lo portano a leggere e documentarsi costantemente su questo meraviglioso sport e sui personaggi che lo popolano. Tra il 2020 e il 2021 con grande umiltà ed entusiasmo ha fondato, con l’aiuto di un paio di amici, il blog e la relativa pagina Instagram ‘Sport-stories’, ma il progetto è poi “naufragato”. 
  • Da buon marinaio non si è dato per vinto e dopo mesi di riflessioni e attese ha deciso di rimettersi in viaggio nell’immenso oceano del football. 
  • “Scrivere per ‘La complessità del calcio’ sarà un piacere e un onore” [cit. Matteo Cigna]

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Leggi anche