Difficile, alle volte, non innamorarsi dei personaggi di cui si raccontano le vicende e le imprese sportive. Alcuni, forse per l’innata simpatia che sprigionano o per l’umiltà che li caratterizzano, fanno maggiormente breccia nel cuore dei tifosi, che li ricordano nella buona e nella cattiva sorte, perché una leggenda resta tale per sempre. Alberto Bigon rientra tra i rossoneri più amati della storia del nostro Milan. Ha vissuto una stagione particolare della storia del Diavolo, i difficili anni 70, segnaati da trionfi epocali, lo Scudetto della Stella, ma anche da cadute rovinose e dolorose, come la Fatal Verona o la sconfitta nella finale di Coppa delle Coppe contro il Magdeburgo. Tutti lo chiamano Albertino, da sempre, dall’atto di nascita. A dire il vero, ancora oggi Bigon ne farebbe a meno, ma alla fine si è dovuto arrendere al volere della prozia un po’ bizzarra, che con un colpo di mano gli affibbiò dall’alba dei tempi della sua vita quel diminutivo. «Io ero piccolo e non ho potuto difendermi. Non ho mai potuto farci nulla. A parte tentare di spacciarmi per quell’”Alberto” che non sono.» Almeno noi, in quest’articolo, sposiamo l’annosa causa di Bigon ed evitiamo dunque di chiamarlo con il diminutivo che l’ha reso così tanto celebre. Alberto Bigon è da sempre milanista, da quando militava nelle giovanili del Padova e si faceva notare come uno dei più grandi talenti del nostro calcio. Nereo Rocco, all’epoca allenatore della prima squadra, lo guarda di lontano, scrutando le potenzialità del giovane Alberto. Possiamo immaginare che l’abbia messo nella lista dei preferiti. Con il suo Padova arriva in finale di Coppa Italia, la gioca da titolare contro la squadra che tifa, il Milan, che vince la sua prima coppa nazionale grazie al gol di Amarildo.
Si aprono per il giovane veneto le porte della grande scena calcistica.
Il Napoli acquisisce il suo cartellino ma, nonostante un’accoglienza da star alla Stazione Centrale, nella città partenopea le cose non vanno devono: Bigon passa l’intera stagione in panchina, inevitabile allora l’addio dalla società azzurra.
Si va a Ferrara e l’esordio con la maglia della SPAL avviene a San Siro contro l’Inter di Mazzola. A Ferrara non sono stagioni facili e la squadra estense retrocede in due anni dalla A alla C. E’ un momento cruciale nella carriera di Alberto che rischia di essere risucchiato dalle sabbie mobili delle serie minori e a quel punto l’idea di finire gli studi, quella maturità non portata a compimento e il desiderio di diventare medico, fanno capolino nella testa di Alberto. Arriva la provvidenziale chiamata del Foggia di Tommaso Maestrelli per il quale Bigon ha sempre avuto parole di grande riconoscenza e affetto, che per il giovane attaccante è “un grande uomo, una grande persona, un vero amico.” Nella stagione 1969/1970 i Satanelli conquistano la Serie A piazzandosi secondi nel campionato Cadetto. Per Bigon è il ritorno alla ribalta, nella massima serie, con la maglia rossonera del Foggia, molto simile a quella della squadra che ama, che un giorno vorrebbe vestire. Al pubblico foggiano e alla dirigenza Bigon deve molto, in Capitanata sta bene, ma non può rinnegare i suoi sentimenti. Si sa, i sogni son desideri e questi spesso si realizzano, quasi in maniera impronosticabile: come accade nell’estate del 1971: «Quest’anno quasi non ci credevo più: si parlava così poco di un mio trasferimento al Milan! Fortunatamente tutto è avvenuto l’ultimo giorno. Sono davvero felice. Sono certo che con Rivera e Prati al fianco potrò segnare una decina di gol.»
Effettivamente, al primo anno di Milan, Alberto realizza ben 19 gol e la squadra beneficia di cotanta bontà. La squadra di Nereo Rocco (toh, chi si rivede) finisce seconda alle spalle della Juventus e in Coppa UEFA raggiunge una semifinale storica (come nel 2002). Al primo anno c’è da festeggiare anche un trofeo importante, la seconda Coppa Italia del club vinta contro il Napoli. Bigon esordisce a San Siro contro la Fiorentina (2-0), un debutto che non potrà dimenticare perchè realizza la doppietta decisiva. Un’altra doppietta importante la mette a segno nel derby del 28 novembre 1971 e si ripete contro il Verona. Sempre decisivo, mai banale il suo contributo alla causa. I paragoni si sprecano e sono anche…arditi. Qualcuno lo considera il Rensenbrink del Milan, con Rivera a fare il Cruijff della situazione. Bigon intanto chiarisce sul suo ruolo offensivo, si vede più come centravanti di manovra piuttosto che di sfondamento. Nella stagione successiva, infatti, i gol diventano dodici, sempre un buon bottino che risulta importante nell’economia della stagione, quella della vittoria della Coppa delle Coppe e della Coppa Italia, quella sciagurata della Fatal Verona. Bigon nel post partita versa lacrime amare sotto la fredda doccia del Bentegodi, una batosta dura da digerire.
In Coppa delle Coppe il suo gol risulta determinante contro lo Spartak Mosca.
Una partita epica nella quale, oltre ad Alberto Bigon tante figure emergono e sono fondamentali per il successo finale, in particolare il commovente Benetti e l’eroico Rivera che gioca con una frattura al setto nasale rimediata nel derby. Iniziano quegli anni difficili di cui avevamo parlato sopra, nei quali il Milan raccoglie tante amarezze e pochi successi. Lui intanto ha eseguito quella metamorfosi che aveva già annunciato e si trasforma in un attaccante di manovra, un falso nueve ante litteram, un Hidegkuti degli anni 70. In un’intervista recente alla Gazzetta dello Sport, ha sottolineato questa sua capacità di adattarsi alle varie situazioni tattiche e alle esigenze della squadra. È vero, segna di meno del suo recente passato e per alcune stagioni non va nemmeno in doppia cifra.
La stagione 1976/1977 assume i tratti della tragedia e il Milan si salva all’ultima giornata grazie alla doppietta di Rivera a Cesena. Ciononostante, il Diavolo aggiunge un’altra Coppa Italia in bacheca battendo in finale l’Inter e i gol di Bigon Nella competizione (4 sugli 8 totali ) aiutano la squadra a raggiungere questo importante successo.
Nel 1978 Alberto Bigon ha 31 anni.
È il veterano della squadra insieme al Capitano Rivera. Segna ben dodici gol in campionato e ha nella Fiorentina la sua vittima preferita, alla quale segna due doppiette. La partita di ritorno è un incontro ricco di forti emozioni. I rossoneri giocano con il lutto al braccio per la morte del Paron Nereo Rocco. Bigon segna due gol pesantissimi sulla strada verso il sospirato e atteso Scudetto della Stella e se il risultato è pienamente positivo lo si deve anche alle parate di Ricky Albertosi. A fine stagione arriva così la gioia più grande di quel decennio così tribolato: lo 0-0 interno con il Bologna regala il titolo numero 10 al Diavolo. La gioia per il giocatore veneto è immensa e liberatoria. É l’unico, assieme a Rivera, ad aver vissuto l’onta della Fatal Verona. Questa volta le sue sono lacrime di gioia, di felicità infinita e forse anche di tristezza. Quella partita Bigon la vorrebbe rigiocare, lui stesso ci spiega il motivo: « La vorrei rigiocare anche perché allora non giocai per infortunio. Una beffa perché in quella stagione, per i problemi di Rivera, ero io il capitano. Fu la seconda e ultima volta in cui piansi per il calcio, ma allora di gioia.»
Nell’ ultimo anno al Milan Bigon gioca 26 partite e segna soltanto 3 reti. L’annata è segnata dallo scandalo scommesse e i rossoneri retrocedono in B. Bigon scende di nuovo tra i Cadetti, ma con la Lazio, dove gioca due stagioni prima di andare al Vicenza in serie C1, dove finisce la carriera.
Da allenatore ha vinto lo Scudetto 1989/1990 con il Napoli di Maradona. Importante è stato il suo ruolo nella gestione dell’argentino che dà segni di insofferenza e con il quale tesse un buon rapporto di stima e fiducia. Questa volta il secondo atto della Fatal Verona gli sorride: il Milan perde la partita e la testa a causa di Lo Bello e praticamente prepara la festa per il secondo Scudetto dei Partenopei.
Vince anche all’estero, sulla panchina del Sion nel 1997.
Con il Milan ha vinto lo Scudetto della Stella (1978/1979); tre Coppe Italia (1971/1972; 11972/1973; 1976/1977); una Coppa delle Coppe (1972/1973).

BIO: VINCENZO PASTORE
Pugliese di nascita, belgradese d’adozione, mi sento cittadino di un’Europa senza confini e senza trattati.
Ho due grandi passioni: il Milan, da quando ero bambino, e la scrittura, che ho scoperto da pochi anni.
Seguire lo sport in generale mi ha insegnato tante cose e ho sperimentato ciò che Nick Hornby riferisce in Febbre a 90°: ”Ho imparato alcune cose dal calcio. Buona parte delle mie conoscenze dei luoghi in Gran Bretagna e in Europa non deriva dalla scuola, ma dalle partite fuori casa o dalle pagine sportive[…]”
Insegno nella scuola primaria, nel tempo libero leggo e scrivo.










10 risposte
Altro articolo scritto a lettere Maiuscole, Vincenzo! Albertino era tanto umile quanto straordinariamente efficace ed ha vissuto col suo Diavolo gioie e dolori come hai meticolosamente appena narrato. Aggiungo un mio personale ed indelebile ricordo: correva il 14 Giugno 1967 e quella sera il sottoscritto 19ne alla vigilia della prova scritta dei suoi esami di maturità, assistette all’Olimpico alla finale di Coppa Italia (ns. prima vinta) tra Milan e Padova con Rocco in panchina, Bigon in grande spolvero in maglia biancorossa ed esultai a più non posso al gol vittoria di Amarildo….e me ne andai a gonfie vele a conquistare la mia meta…il Dilpoma di Perito Tecnico in Telecomunicazioni!
Che tempi!…che ricordi!!!..Grazie di avermeli ricordati Vincenzo!!
Buona settimana!
Massimo 48
Grazie Massimo, sempre gentile! Che aneddoto, la nostra vita è segnata di rosso e nero. Bigon ha segnato ben nove stagioni del Milan, è stato un leader silenzioso ma efficace soprattutto in campo. Io non l’ho visto giocare, sarei nato qualche anno più tardi della Stella, ma tutti gli riconoscono l’eleganza e la duttilità tattica. Un campione!
Forza Milan
Vince
Buongiorno Vincenzo e complimenti per il caro ricordo di Bigon, un giocatore bravo e composto. Io lo ricordo particolarmente nell’anno della Stella, una delle migliori stagioni del nostro “Bibi”. E, molto bello anche il ricordo di Massimo.
Domanda, perché Bigon non ha più allenato in Italia?
Non penso per un motivo specifico, forse era più attratto dall’estero, per questioni di convenienza. Dopo Napoli è andato al Lecce e all’Udinese.
Grazie Giampaolo! Ho un ricordo bellissimo di quella serata!
Aspettai l’uscita del pullman Rossonero ed ebbi una fortissima emozione nel vedere per la prima volta i nostri idoli così da vicino. Forza Milansempre, grazie e buona settimana Giampaolo!
Massimo 48
Bravo Vincenzo, Bigon è stato un giocatore fondamentale, grande intelligenza e tecnica , già moderno 50 anni fa poteva ricoprire tutti i ruoli dell’attacco
Grazie Stefano, Bigon è stato un trait d’union tra un Milan vincente e drammaticamente perdente e il Milan della Stella. Come dicevi tu, è stato il nostro Resenbrink, un attaccante intelligente e raffinato. È stato una leggenda in un periodo di vacche magre ed è stato una bandiera
Messaggiato proprio stamattina al cellulare con Alberto Bigon per l’invito al pranzo annuale del Milanclub Padovasud …. coincidenza o degno premonitore della sua presenza alla festa, speriamo !!!
Giusto anche quello che dice Stefano: Bigon era un giocatore molto intelligente, in grado di ricoprire più ruoli. È bello leggere di questi giocatori, forse un pochino dimenticati. Mi vengono in mente Anquilletti e Bet, ma anche Buriani o Giorgio Biasiolo. Chissà!.