“Negri, Furlanis, Bulgarelli, Nielsen, Haller, Pascutti”.
Mia nonna li elenca ancora così, come se fosse lei a dover dare la formazione. Li sa a memoria, e ogni volta che li pronuncia lo fa con una certa emozione, come se, ad occhi aperti, stesse davvero tornando a quegli anni. In un attimo è di nuovo lì, nel 1964, nel salotto di casa, con la radio accesa e il cuore sintonizzato sullo Stadio Olimpico, dove il Bologna sta per diventare campione d’Italia.
Siamo una famiglia di Bergamo, eppure nessuno ha mai tifato Atalanta. Anzi, ci teniamo quasi con orgoglio a questa nostra piccola indipendenza.
Mia madre è juventina grazie al nonno, mio padre è milanista, per l’altro nonno ed è così che a catena io ho seguito le orme di mamma, mentre mio fratello ha scelto di schierarsi con papà. Scelte “tradizionali”, due squadre di punta che da sempre attraggono tifosi da ogni parte d’Italia.
Ai pranzi di famiglia nei weekend di campionato gli sfottò condivano la calda rivalità. In queste occasioni però c’è sempre stata una voce che si distingueva più di tutte, quella della nonna.
Lei è sempre stata del Bologna e già questo, da solo, dice molto della sua unicità. Nessun parente emiliano, nessun legame diretto che spieghi quel sentimento. Da piccola mi sono sempre chiesta il perché di questo tifo e crescendo ho capito che le motivazioni affondano le loro radici in un tempo lontano. È una storia che nasce nel 1959, quando mia nonna era piccola e con la sua famiglia si trasferì dalla cascina in campagna al paese. Qui incominciò una nuova vita e anche dei primi piccoli lussi. Un anno dopo, nel 1960, arrivò la prima televisione comprata a rate e in bianco e nero, naturalmente. Quando l’accese per la prima volta, sullo schermo c’era una partita di calcio. Fino a quel momento il “pallone” era una cosa da uomini, una passione che abitava il bar del centro o che correva per le strade insieme ai suoi fratelli e ai loro amici. Quel giorno invece era lei a tu per tu con tutto ciò che prima aveva solo sentito raccontare. Sullo schermo il Bologna contro una squadra straniera. Non sapeva nemmeno che colori avessero le maglie ma decise che avrebbe tifato per gli italiani e fin dai primi minuti crebbe qualcosa in lei. Fu un colpo di fulmine.
“Mi è piaciuto subito,” racconta ancora oggi, “non so spiegare perché”.
È difficile raccontare cosa sia successo in quel momento e forse a parole non riuscirà mai davvero ad esprimerlo in modo esaustivo. Sa però che da allora il Bologna ha fatto parte della sua vita.
Incominciò infatti a seguire le partite successive ascoltandole alla radio o grazie a 90° minuto.
Durante la settimana lavorava alla Comet, dove erano quasi tutti milanisti o interisti. Ogni lunedì si discuteva di calcio come se fosse una questione personale e lei, sola contro tutti, difendeva il suo Bologna con orgoglio. La stagione del 1963-1964 non fu facile da affrontare, bisognava avere i nervi ben saldi perché fu uno dei campionati più incerti del dopoguerra. All’inizio, i favori dei pronostici erano tutti per le grandi: l’Inter di Helenio Herrera, appena diventata campione d’Italia, il Milan campione d’Europa di Gipo Viani, e la Juventus del brasiliano Amaral.
Ma quel Bologna, partita dopo partita, arrivò fino allo spareggio contro l’Inter e vinse lo scudetto.
Eppure, il suo legame con la squadra seppur rafforzato da quello storico trionfo non è mai dipeso solo dai risultati e neanche quando la squadra è scesa in Serie B la sua fede ha vacillato. Una vera e propria bandiera del club, quelle figure che oggi si celebrano con romantica nostalgia e che, a più di sessant’anni di distanza, continuano a conservare la stessa passione di un tempo. A volte capita che, se la notte non riesce a dormire e sa che il Bologna ha giocato, raggiunga la cucina e accenda la televisione per cercare Televideo con il tabellino. Se hanno perso, allora è dura riprendere sonno. Se hanno vinto, si concede un piccolo sorriso perché sa che il giorno successivo ne parleremo. Infatti ogni volta che vado a trovarla, la scena si ripete:
“Che cosa ha fatto il Bologna nel weekend?”
“Contro chi giocate la prossima partita?”
Lei lo sa sempre. A volte si lamenta: “Abbiamo perso ancora!”, altre volte si illumina in un “Hai visto il mio Bologna?” pieno d’orgoglio, soprattutto dopo una vittoria insperata.
Come quella volta della Coppa Italia. Il suo cuore, in realtà, avrebbe accettato anche una sconfitta perché avrebbe significato la vittoria del Milan, la squadra di suo nipote ma quando ha alzato lo sguardo verso lo schermo e ha visto il Bologna festeggiare, le è bastato un attimo per tornare la ragazza che si era innamorata di quella squadra nel 1960.
Ed è così che alla fine non si tratta solo di calcio. È un’occasione, ogni weekend, di sentirsi ancora come quella ragazzina che per la prima volta accese la tv trovando un legame per tutta la vita.

BIO: LAURA ZUCCHETTI
Gen Z di nascita ma vintage nei modi, parlerei per ore di sport e questioni di genere. Vivo il calcio femminile da tifosa ma con lo sguardo da psicologa sociale per riflettere sulle sue contraddizioni e opportunità figlie della realtà nella quale siamo immersi.










Una risposta
Buongiorno Laura, che bella storia e che bella nonna!. Io ricordo un Bologna un pochino più modesto nei risultati ma con giocatori che davano tutto, come il povero Tazio Roversi o Franco Cresci, giusto per citarne alcuni.
Io sono del Milan, ma ho sempre nutrito grande simpatia per alcune rivali come Torino, Roma (per Liedholm e Aldo Maldera) ed appunto il Bologna.
Per cui quando abbiamo perso l’ultima finale di coppa Italia, l’amarezza è stata mitigata grazie a quella squadra che “tremare il mondo fa…”