FOTO DI COPERTINA DA MILANINSIDE
Alle origini di Luka Modrić
Un bambino di cinque anni pascola il suo gregge di capre a pochi chilometri dalla città, nel selo – villaggio – abitato da suo nonno. È fulvo, gracile, ma sembra avere già l’autorevolezza dei grandi.
Questo provetto Davide dei nostri tempi vive in una terra promessa del basket, Zadar – o se preferite Zara-, dove i Golia della palla a spicchi, hanno portato sull’Adriatico successi importanti. Ai suoi piedi c’è sempre l’altra lopta, non meno popolare da queste parti, il pallone da calcio che diventa il compagno d’avventura al pari della fionda del leggendario personaggio biblico. Alle macchinine e ai giochi in cortile, lui preferisce il pallone. Poi scoppia il conflitto che tutti conosciamo e il piccolo Luka diventa un rifugiato, ospitato nell’hotel Kolovare con altre famiglie, dove la quotidianità è un esercizio di sopravvivenza, fatta di sirene e rifugi sotterranei a cui fino alla fine ci si abitua pure. Al Kolovare, tenere fermi i piedi del piccolo Modrić è pressoché impossibile e le pallonate infrangono vetri, facendo più danni delle bombe dei serbi.
Qualcuno inizia ad accorgersi che il piede si educa, assume una particolare sensibilità, sconosciuta alla maggior parte dei suoi coetanei.
Tomislav e Domagoj Basic, padre e figlio, sono coloro che più di altri colgono nei piedi e nella testa del giovane Luka i crismi del fuoriclasse, in particolare Domagoj si pone nei confronti di Luka e di tutti i suoi allievi non solo come maestro di calcio ma anche di vita, insegnando a vivere la pubertà come momento di crescita che va oltre il calcio :” Oggi capisco l’importanza di avere avuto un allenatore che non ti considera solo come atleta, in quel periodo particolare. Prestò molta attenzione alla nostra educazione. Gli allenamenti erano interessanti e singolari; non ci diceva solo: «Corri, passa la palla, ricevi, tira». Ci insegnava, per esempio, come affrontare le ingiustizie. Ci divideva in due squadre e poi ci giudicava secondo criteri suoi. Faceva apposta male a qualcuno e osservava le nostre reazioni. Alcuni si arrabbiavano, altri piangevano perché erano a disagio. Ci spiegava che nel calcio, come nella vita, avremmo visto di tutto, anche le prepotenze, e avremmo dovuto imparare ad affrontare i momenti difficili. Ci insegnava a essere responsabili e a rispettare le regole. Era irremovibile, su questi aspetti. Bašić era un uomo colto.”
Il primo contatto con il calcio che conta avviene quando il padre di Luka, Stipe, con la complicità di zio Željko e di un mediatore organizzano un provino con l’Hajduk Spalato all’insaputa di Tomislav Bašić.
Gli allenatori dei Bili (i bianchi) considerano il talentuoso zaratino ancora acerbo, un po’ come accade al protagonista dell’ultimo libro che ho letto, Un Pallone tra le Stelle.
Nella sua biografia Modrić ricorda quel passaggio importante della sua vita: “«Tuo figlio non soddisfa i nostri criteri. Ci dispiace. È ancora troppo piccolo», ripeterono a Spalato a mio padre. Non era affatto giusto, secondo lui, ma non si poteva che accettare la realtà. Non mi scoraggiai: al contrario, fui ancora più motivato a dimostrare che avevano torto. Sul campo, sentivo di poter essere all’altezza di qualsiasi rivale. Quella è la cosa più importante. Lo compresi ancora meglio in seguito, quando iniziai a giocare ai massimi livelli. Ognuno di noi sa bene cosa può e cosa non può fare. Nell’allenamento e in partita sai esattamente dove puoi arrivare, insieme agli altri. Se riesci a tenere il ritmo, dribbli in anticipo, vinci i duelli e porti qualità, allora significa che ce la farai. Avevo quella percezione, sapevo che ero pronto per andare lontano e fare carriera.”
Tomislav Bašić ovviamente se la prende e lo tiene senza allenarsi per tre mesi finché un giorno Stipe Modrič e il signor Tomo si riconciliano davanti a una tazza di caffè, perchè il maestro di calcio sa che l’altezza conta fino ad un certo punto e che prima o poi avrebbe detto al suo giovane allievo “bravo Luka, sei un grande!”
Il talento, se è puro, emerge anche in un corpo di 170 centimetri ed è ciò che succede dopo la ripresa del lavoro con la palla a cui seguono i complimenti del suo trener. Ma nella vita di ognuno arriva il momento nel quale bisogna spiccare il volo, librarsi verso nuovi orizzonti che per Luka si chiamano Dinamo Zagabria.
Tomo Bašić allora contatta Zdravko Mamić, membro del consiglio di amministrazione dei Modri (i blu).
Luka è nel destino di quel club, il cognome d’altra parte è praticamente uguale al soprannome del club.
Per farsi le ossa, nel vero senso della parola, accetta i prestiti all’Inter Zaprešić e allo Zrinjski Mostar, in Bosnia, in un campionato altamente fisico e rude. Dopo queste esperienze altamente formative, arriva il tempo della consacrazione in patria con la vittoria di tre titoli croati con la Dinamo Zagabria e l’esordio da titolare in nazionale contro l’Argentina di un giovane Leo Messi il 1 marzo 2006.
Le pressioni aumentano e qualcuno glielo ricorda: “<Sei stato grande Luka, bravo. Ma ora devi lavorare ancora più duramente. Le persone ti guardano in modo diverso, quando approdi nella rappresentativa>. <Lo ascoltai. Mi allenai ancora di più. Il fatto di aver vissuto una fantastica esperienza nella nazionale del mio Paese mi aiutò a non desistere>.”
La percezione, non soltanto del ragazzo, che ci si trovi davanti a un ulteriore momento di svolta si intuisce nelle parole di Tomislav Bašić pronunciate al Jutarniji List in tempi non sospetti, in un’intervista del 2007: “In due anni, Luka può diventare il miglior calciatore d’Europa. Di sicuro! Ragiono in base a ciò che ho visto con i grandi giocatori mondiali di oggi […]. Per la crescita di Luka, il passaggio a un campionato più forte è necessario quest’inverno! Luka non ha più desideri o motivazioni interiori per la HNL. Ha ottenuto tutto qui, quindi dovrebbe avere la possibilità di progredire.”
Si fanno avanti i primi club europei.
Luka dice un secco “no” allo Šachtar, mentre sono i dirigenti della Dinamo a rifiutare la proposta del Chelsea. Il punto nodale della sua carriera ha una data: 25 marzo 2008. Luka Modric accetta le lusinghe del Tottenham che ha già l’accordo con il club croato.
Inizia la carriera internazionale del calciatore di Zadar e ai campionati europei di Austria e Svizzera si fa conoscere all’intero continente. L’esordio dei croati è contro i padroni di casa dell’Austria, una partita brutta risolta dal rigore di Modrić al 4’. Ovviamente è l’uomo partita e la sua classe non passa inosservata. Il cammino della Croazia termina ai quarti di finale contro la Turchia, in una partita dal finale rocambolesco. Atroce è la delusione e Luka decide di scappare in barca con la sua Vanja per una lunga vacanza dove metabolizza la sconfitta.
Il giovane centrocampista, tuttavia, è diventato una stella internazionale e figura nella squadra ideale del torneo.
A Londra ritrova il suo vecchio amico Ćorluka che era stato ceduto agli Spurs dal Manchester City. Gli inizi al Tottenham non furono però semplici. La sua avventura parte in sordina con Juande Ramos in panchina, ma è con Harry Redknapp che Luka assume consapevolezza dei suoi mezzi e gioca una memorabile partita contro l’Arsenal, finita 4-4.
Il paonazzo tecnico inglese ha un ruolo fondamentale per la crescita esponenziale del croato, ma Luka ha anche un sostegno inaspettato. Un giorno arriva questo messaggio: “Mantieni la calma e non sentirti in colpa per i risultati scadenti. Anch’io ero in difficoltà, appena arrivato all’estero. Mi ci è voluto tempo per adattarmi. Rilassati, andrà tutto bene!»” Il mittente è il suo idolo, il più grande calciatore della storia recente, e non solo, croata: Zvonimir Boban. Così scrive Luka Modric nella sua biografia:”
Il ricordo di quelle parole mi sarebbe stato di grande aiuto nei momenti di crisi. Soprattutto perché venivano da un uomo che aveva percorso tutte le tappe della carriera da professionista. Rimanemmo al telefono cinque o sei minuti. Ero molto emozionato. Come quando da bambino lo guardavo conquistare l’Europa con il Milan o guidare la Croazia alla sua prima medaglia nei mondiali. Quella conversazione mi diede la forza e l’adrenalina di cui avevo bisogno in un momento così difficile. Poi fu tutto in discesa.”
È vero, tutto dopo è stato in discesa e anche più facile da raccontare, perchè trattasi di una storia nota, sotto gli occhi di tutti.
Voluto dal turbolento Mourinho va a Madrid. Entrato quasi in punta di piedi, cresciuto ulteriormente sotto la guida del “pacifico” Carlo Ancelotti, lascia da grandissimo il Real Madrid, il club più grande del mondo. Solo i numeri dicono la grandiosità di un calciatore che ha disegnato traiettorie e geometrie sul campo come pochi nella storia del calcio: sei Champions League (record condiviso con Francisco Gento, Daniel Carvajal, Nacho e Toni Kroos), cinque Supercoppe Europee, cinque Mondiali per Club, una Coppa Intercontinentale FIFA, quattro LIGA, due Coppe del Re e cinque Supercoppe di Spagna.
Ha sfiorato il successo al mondiale russo del 2018 con la Croazia, sconfitta dalla Francia dell’astro nascente e futuro compagno di squadra Kylian Mbappé, prestazione che gli è valsa la conquista del Pallone d’Oro nel 2018.
E ora, al termine di una carriera straordinaria, ha accettato il contratto di un anno offerto dal Milan, squadra che ha tifato quando era bambino, quando pascolava le caprette con la stessa sicurezza e maestria con la quale ha guidato il centrocampo di Dinamo Zagabria, Tottenham e Real Madrid.
L’età non gioca a suo favore, ma fisicamente risulta essere integro, inoltre potrebbe trovare qualche difficoltà nello scacchiere di Massimiliano Allegri, considerato da persone più autorevoli di me poco dominante e propositivo dal punto di vista del gioco.
Vedremo cosa potrà dare ai Rossoneri. Resta la certezza che legherà per sempre il suo cognome alla storia gloriosa del nostro club che da tempo anela a tornare grande ed essere lì dove dovrebbe essere, tra i grandi d’Europa.

BIO: VINCENZO PASTORE
Pugliese di nascita, belgradese d’adozione, mi sento cittadino di un’Europa senza confini e senza trattati.
Ho due grandi passioni: il Milan, da quando ero bambino, e la scrittura, che ho scoperto da pochi anni.
Seguire lo sport in generale mi ha insegnato tante cose e ho sperimentato ciò che Nick Hornby riferisce in Febbre a 90°: ”Ho imparato alcune cose dal calcio. Buona parte delle mie conoscenze dei luoghi in Gran Bretagna e in Europa non deriva dalla scuola, ma dalle partite fuori casa o dalle pagine sportive[…]”
Insegno nella scuola primaria, nel tempo libero leggo e scrivo.
2 risposte
Articolo bellissimo Vincenzo! Ci hai splendidamente narrato la storia vissuta dal piccolo Luca in una difficile ex Jugoslavia fino ai giorni nostri passando per il suo luminosissimo iter da Campione e Pallone d’oro. Ora al Milan per far da chioccia a tanti giovani speranzosi. Per la teoria dei corsi e ricorsi storici il nostro Diavolo è un abitue’ nell’ingaggiare queste Star del Calcio a fine carriera, come se l’INPS gli desse un bonus prepensione, ricordando David Beckham, Zlatan Ibrahimovic, Olivier Giroud ed ora Luca Modric un milanista dalla nascita.. e chissà che non riesca, prima di appendere gli scarpini, a vincere quanto, una trentina di anni prima, stava splendidamente sognando… e sognare, specie di questi tempi, non costa proprio nulla!
Un caro abbraccio.
Massimo 48
…e Dino Sani…